Social media, il mondo delle relazioni fluide. Vincenzo Corrado: “Quel confine sottile tra uso e ab-uso”

Social Media: Uso o Ab–uso. Una comunicazione dal cuore cristiano

Vincenzo Corrado indaga su un mondo che fa parte della nostra vita quotidiana, ma che forse conosciamo poco, quello dei social, a volte troppo invasivi, nel volume “Social Media: Uso o Ab–uso. Una comunicazione dal cuore cristiano”  (Libreria Editrice Vaticana, Prefazione di Riccardo Prandini, pp. 92 – 10 Euro). 

L’autore, direttore dell’Ufficio Nazionale per le Comunicazioni Sociali della CEI, da noi intervistato, si pone una serie di domande che sono al centro della sua riflessione, senza dimenticare che ormai questo tipo di comunicazione è, oggi a differenza di ieri, alla portata di quasi tutti: basta avere un cellulare e un abbonamento a Internet.

Riferendoci al titolo del libro, per quale motivo spesso e volentieri e a qualsiasi età, i social a volte vengono usati con un approccio deviato tanto da diventare un abuso?

«Durante l’esperienza digitale ci troviamo spesso di fronte a qualcosa di sconosciuto quindi nel campo dei social vale sempre il principio che il primo formatore della persona è la persona stessa. Quindi ciascuno di noi è chiamato ad applicare alla propria vita quel principio di autoformazione che è tipico della crescita umana. La deviazione avviene dal fatto che c’è il falso pensiero di trovarsi di fronte a un ambiente spopolato, dove non c’è il confronto “face to face”. Allora questo dà la stura a tutte quelle che sono le cattive espressioni che appartengono a ciascuno di noi. Pensiamo per esempio al fenomeno estremo dell’odio on line. In quel caso c’è un abuso in una forma deviata assoluta. Credo che il confine tra uso e abuso sia nella capacità di promuovere un’educazione attenta, mirata e che passi anche da un aggiornamento costante. Nel territorio dei social si può costruire un dialogo generazionale, le nuove generazioni insieme agli adulti e insieme agli anziani possono dialogare fecondamente, instaurando un nuovo patto sociale a beneficio di tutti».

I media digitali sono parte di tutti noi. Come possono usarli in modo originale i cristiani e soprattutto chi si occupa di un ambito pastorale? 

«Comprendendo che adesso quando si ha a che fare con l’azione pastorale non si vive una dimensione separata rispetto al contesto di vita. Soprattutto i ragazzi, ma non solo loro, vivono in un ambiente che è digitale. Una prospettiva interessante con cui accostarsi ai social è quella della creatività. La creatività quando è sana permette di affrontare anche ciò che è ignoto, purché si costruisca su basi solide. La creatività è la capacità di connettere tra loro punti apparentemente distanti e isolati, se noi iniziamo a connettere questi punti isolati tra di loro, ci rendiamo conto come possa svilupparsi una sana creatività. I social media non sono più un semplice strumento, ma caratterizzano ormai la comunicazione e la permeano diventando un ambiente, per cui immaginare una Pastorale decontestualizzata dall’atmosfera in cui si vive probabilmente non permette di instaurare un dialogo fecondo con chi si ha davanti. Questo non vuol dire che bisogna assoggettare la Pastorale all’ambiente digitale, ma significa trarre l’originalità propria che deriva dalla Pastorale e saperla tradurre all’interno di un ambiente che è completamente nuovo: quello del digitale». 

Come potrebbe essere una “comunicazione dal cuore cristiano”?

«È una comunicazione che riesce a comunicare la fede, che è innanzitutto relazione, incontro. E la fede diventa il metodo, il criterio esplicativo e interpretativo del fenomeno della socialità digitale. La fede è generativa, perché si trasmette continuamente all’interno delle generazioni. Allora una “comunicazione dal cuore cristiano” originata dalla fede è una comunicazione che rigetta ogni forma di narcisismo ed è il contrario della stagnazione, del restare immobili, dell’impoverimento di sé e della ricerca a tutti i costi del consenso personale. Il cristiano che comunica non è una persona che ricerca il consenso personale, la sua è una comunicazione, che è costruzione di comunità che si donano e percorrono la testimonianza e la strada principale che è quella della fede». 

Benedetto XVI e Francesco si sono confrontati con la rivoluzione dei social media. Ce ne vuole parlare? 

«Nel 2013 Benedetto XVI nel suo magistero e in modo particolare nel messaggio per la 47a Giornata mondiale delle comunicazioni sociali ha affrontato il tema dell’ambiente digitale per la prima volta in maniera esaustiva, definendo il digitale come “ambiente”, superando quella distinzione tra mondo virtuale e mondo reale. Benedetto XVI scriveva nel Messaggio che l’ambiente digitale non è un mondo parallelo o virtuale, ma è parte della realtà quotidiana di molte persone. Il Papa l’aveva detto quasi dieci anni fa in un contesto che stava cambiando e che avrebbe impresso un cambiamento successivo. Questa definizione non è semplicemente ecclesiale, ma anche sociale e politica. Papa Francesco eletto proprio nel 2013, il 13 marzo, con la sua originalità e la sua capacità comunicativa segue questo contesto». 

La parte conclusiva del testo è dedicata allo stile missionario proprio della “Chiesa in uscita”, con il recupero della doppia natura estroversa e ospitale della comunicazione, diventa una pro-vocazione per i social. Desidera chiarire la Sua riflessione?

«La comunicazione deve essere estroversa e ospitale, io apro me stesso a chi mi è di fronte, divento ospitale, la mia comunicazione non deve essere egocentrica, ma appunto estroversa. Una comunicazione ospitale che sappia creare ponti e occasioni di pace e sappia contrastare gli infingimenti. Quando si è ospitali, il guadagno non è solo per chi viene accolto ma anche per chi accoglie».

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