C’è bisogno di guardare al futuro: l’unità come chiave per superare la crisi

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Proviamo a guardare un po’ più avanti, a dare per acquisiti la legge di bilancio e il raggiungimento degli obiettivi parziali del Pnrr, vale a dire i due impegni che hanno segnato fortemente quest’ultimo scorcio politico del 2022.

Diciamo subito che l’avvio del nuovo anno non consentirà certo di dormire sugli allori, ammesso che di allori si possa parlare. Sul piano delle scelte di governo la scadenza più rilevante e urgente è a tre mesi.

I 21 miliardi stanziati contro il caro bollette sono stati calcolati per bastare allo scopo sino alla fine di marzo. Secondo alcuni osservatori le stime sono state molto prudenti, opportunamente, e forse a quella data non tutti i fondi saranno stati spesi.

Ma il problema si riproporrà poco dopo e con quel che sta accadendo a livello finanziario globale – soprattutto in relazione all’aumento dei tassi d’interesse – fare nuovo debito non sarebbe un’operazione indolore. Sul piano più strettamente politico, il 12 e il 13 febbraio si vota in Lombardia e nel Lazio e non occorrono sofisticate analisi per comprendere come l’esito di questo passaggio elettorale non riguarderà soltanto i cittadini chiamati alle urne in queste due regioni.

Il governo, in teoria, avrebbe da temere più da eventuali contraccolpi all’interno della maggioranza che dalle potenziali mosse operate dal campo delle opposizioni, in cui spicca il travaglio in corso nel Pd tra la complessa fase congressuale e le connessioni italiane del Qatargate.

Ma le sfide che il Paese ha di fronte vanno ben oltre le questioni, pur rilevanti, che riguardano gli equilibri dentro gli schieramenti e dentro i partiti. La crisi energetica continua a mordere, alimentata anche da una guerra folle di cui non si intravede ancora una via d’uscita.

L’inflazione, autentica tassa occulta che grava soprattutto sui redditi delle fasce meno abbienti, ha rallentato la sua corsa ma resta su livelli elevati e ha indotto le autorità monetarie a politiche restrittive che rischiano di combinarsi con una fase di recessione ritenuta ormai praticamente inevitabile, sia pure per un breve periodo. Il declino demografico non conosce inversioni di tendenza, come ci ha ricordato l’Istat, e anno dopo anno continua a minare le basi del futuro della società italiana.

Ma il nostro Paese può farcela ancora una volta, come ha dimostrato nella memorabile reazione alla pandemia, un’esperienza epocale che non dovrebbe essere archiviata con leggerezza.

Può farcela se non si isola inseguendo improbabili sovranismi ideologici e se è capace di ritrovare quello spirito unitario che non annulla le differenze e la dialettica democratica, ma pone l’interesse generale al di sopra degli interessi particolari, anche di quelli legittimi.

Coltivare questo spirito unitario è allo stesso tempo condizione e compito di una buona politica. In certi momenti di questa stagione sembra invece riaffacciarsi la tentazione insidiosa del “si salvi chi può”, della contrapposizione tra libertà e solidarietà che finisce per accrescere le disuguaglianze anziché contribuire a ridurle, di una meritocrazia dai presupposti falsati che finisce per premiare sempre gli stessi.

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