Valerie Le Chevalier e la Chiesa del futuro: “Appartenenza “fluida”. Accogliere chi si presenta sulla soglia”

Anche in Italia, secondo una tendenza già evidente in Paesi di lunga tradizione cattolica come la Francia e il Belgio, si registra un calo delle pratiche religiose e un allontanamento di molti dalla vita delle comunità parrocchiali.

Sembrerebbe che le reazioni a questo fenomeno, a livello ecclesiale, oscillino tra due estremi: da un lato c’è chi, in tono abbastanza angosciato, va alla ricerca di quanto «non funzionerebbe più» nella catechesi e nella pastorale; altri invece danno per scontato che, prima o poi, le cose finiranno con l’aggiustarsi da sé. 

Non sapremmo dire se la prospettiva aperta al riguardo dalla teologa Valérie Le Chevalier con un suo libro del 2017 (Ces fidèles qui ne pratiquent pas assez… Quelle place dans l’Église?, pubblicato in traduzione italiana da Qiqajon con il titolo Credenti non praticanti – qui il link alla scheda del volume) risulti «rasserenante».

L’esempio di Gesù e del Vangelo

Quantomeno permette di ripensare la questione su nuove basi, a partire dall’esempio di Gesù e delle relazioni di diverso tipo che egli stabilisce con le persone: al gruppo ristretto dei discepoli in senso proprio si aggiunge infatti – raccontano i Vangeli – una «nebulosa di compagni di strada», che a un tratto risultano identificabili (perché chiamati per nome, nel caso di Nicodemo e di Bartimeo; o per una caratteristica fisica: un cieco, un paralitico, una donna affetta da una perdita di sangue).

Tutte queste persone, dopo essere state «risanate» o «convertite» mediante l’incontro con Gesù, vengono da lui rimandate alle loro case, alle loro precedenti occupazioni. Non si dà un’analogia tra questi «seguaci a distanza» e quei non praticanti che tuttavia continuano a definirsi «cattolici»?

E che vorrebbero comunque essere accompagnati sacramentalmente dalla Chiesa negli eventi cruciali delle loro vite? 

Un confronto sul futuro della fede

A Parigi, Valérie Le Chevalier dirige il corso «Croire & Comprendre» presso il Centre Sèvres, un istituto universitario della Compagnia di Gesù. Venerdì scorso è intervenuta come ospite-relatrice a Bergamo, nella chiesa di Maria Santissima Immacolata a Longuelo: l’incontro (sul tema «Il cristianesimo che verrà») è stato promosso da alcune parrocchie in collaborazione con la Comunità di San Fermo e con l’ufficio diocesano per la Pastorale sociale, come momento di confronto «sul futuro della fede e dell’esperienza cristiana nelle nostre comunità» (la registrazione video della conversazione, condotta in forma d’intervista con domande poste dal dehoniano Maurizio Rossi e dal parroco di Gromo don Flavio Gritti, è disponibile qui sotto). 

A partire dal periodo tra la due guerre mondiali – ha raccontato la studiosa -, la Chiesa francese commissionò una serie di indagini sociologiche per monitorare lo «stato di salute» del cattolicesimo nel Paese.

Questi studi si basavano prevalentemente sulla misurazione di comportamenti esteriori, osservabili, primo fra tutti la frequenza alla Messa domenicale: in tale modo – afferma Valérie Le Chevalier -, sono però scivolati in secondo piano «la preghiera personale, la pratica della carità, gli impegni e la dimensione etica della vita sociale».

Appartenenza confessionale “fluida”

La copertina del libro

Alcune ricerche condotte in un passato più recente suggeriscono che l’appartenenza confessionale abbia un carattere relativamente fluido, esprimendosi in diverse forme: sempre in Francia, un sondaggio del 2017 documentava come, a fronte di uno scarno 1,8% della popolazione totale che ogni settimana senza eccezioni si recava a Messa, ben il 54% si dichiarava «cattolico», non solo nominalmente o per tradizione familiare.

La Chevalier propone di rivisitare  una famosa formula coniata alcuni decenni fa da Karl Rahner, quella dei «cristiani anonimi»: «Rivolgendosi alle persone che ha miracolosamente risanato – lei spiega -, Gesù dice che questo è stato reso possibile da un loro atteggiamento fondamentale di apertura e fiducia (“La tua fede ti ha salvato”).

Nel capitolo 8 degli Atti, l’apostolo Filippo si imbatte in un eunuco etiope che sta leggendo, cercando di comprenderne il senso, le profezie di Isaia.

Quando Filippo gli spiega che in queste si annunciava la venuta di Gesù, l’eunuco subito chiede e ottiene di essere battezzato: non ci viene però raccontato nulla del seguito, di che cosa abbia fatto quell’uomo una volta tornato nella sua terra».

Una fiducia fondamentale nel valore della vita

«Non penso – aggiunge Valérie Le Chevalier – che ai giorni nostri sia più difficile a trovarsi una “fede salvifica”, una fiducia fondamentale nel valore della vita su cui potrebbe poi crescere una fede esplicita, “testimoniale”.

In molti luoghi non caratterizzati in chiave religiosa incontriamo persone che si impegnano nella loro esistenza quotidiana, si prendono cura degli altri, continuano a sperare nel futuro.

Il problema – a me pare – è che le comunità cristiane in generale non fanno abbastanza per rendersi nuovamente attraenti e accoglienti nei riguardi di costoro. Io ritengo che Rahner avesse ragione anche quando sosteneva che nel mondo contemporaneo il cristianesimo si troverebbe necessariamente in una condizione di “diaspora”: l’idea che si possa ripristinare un precedente “regime di cristianità” si riduce a una fantasia sterile».

Le comunità parrocchiali non dovrebbero dunque essere ossessionate dal desiderio di «contarsi»: «Si tratta semplicemente di accogliere chi si affaccia sulla soglia, magari per chiedere che un bambino venga battezzato o che si celebri il funerale religioso di un parente defunto. Non sta a noi prevedere se chi formula tali richieste manifesterà in seguito anche il desiderio di restare in contatto con la parrocchia, oppure si allontanerà nuovamente, o magari si ripresenterà più in là nel tempo».

  1. per commentare l’ultimo paragrafo, “le vie del Signore, sono infinite”… ma molte domande mi arrivano sulla punta della lingua: Come si può far arrivare alle nuove generazioni la Parola di Dio, se non si frequenta la Messa domenicale? A quanto possa aver percepito dall’intervento di Valerie le Chevalier, i nostri preti, sempre meno in quantità, sono talmente oberati ed affannati nel voler “mantenere” ciò che rimane del gregge, che molti lasciano per sfinimento…i seminari sono pressoché non più frequentati(ma questo potrebbe essere un incentivo a trovare nuove vie con formazioni di laici adeguate)…e, lasciano, per le troppe esigenze di servizio richieste loro ad esempio agglomerando varie parrocchie… troppe sono le Messe celebrate ovunque e in ogni parrocchia esistente…troppe sono le cure e dispendio di forze per coloro che sono già inseriti nella comunità parrocchiale e poche le occasioni di incontro con tutta la comunità sociale e civile, laddove un prete potrebbe essere inserito con lo scopo di espandere il “Vangelo” senza parlare di appartenenza religiosa, a testimonianza e non da “pulpito” che insegna dall’alto…E, come si approcciavano a Gesù, coloro che trovavano nelle Sue gesta, e nelle Sue Parole, curiosità e meraviglia… “La tua fede ti ha salvato”!: Ognuno di noi ha già dentro di sé il seme di Dio, dobbiamo solo scoprirlo…e di certo non imponendo nulla ma aprendosi e andare in mare aperto, scoprendo ciò che in noi è un tesoro da coltivare…

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