La bibliotecaria di Auschwitz: il coraggio di Edita Kraus e la forza delle storie

Intervista agli autori de: “La bibliotecaria di Aushwitz”
La copertina del volume

I libri ad Auschwitz erano come ali per far volare i sogni oltre l’orrore del campo di concentramento, un appiglio per continuare a sentirsi vivi, al di là delle torture e delle privazioni. Anche lì, un luogo di prigionia e di morte, esisteva una biblioteca clandestina, gestita da una ragazzina di 14 anni, Edita Kraus. Ne racconta la storia Antonio Iturbe ne “La bibliotecaria di Auschwitz”, ora trasformato in graphic novel da Salva Rubio e Loreto Aroca, con la traduzione di Francesco Ferrucci, pubblicato in Italia da Il Castoro.

“Avevo già scritto la sceneggiatura per la graphic novel tratta da “Il fotografo di Mauthausen” – spiega Salva Rubio -, e mi interessava approfondire questo argomento. Mi ha colpito il personaggio di Edita Kraus perché nonostante la sua giovane età aveva abbracciato con entusiasmo il progetto di mantenere e difendere i libri che entravano clandestinamente nel campo di concentramento di Auschwitz”. A occuparsi della parte grafica è stata Loreto Aroca: “Questo libro è rivolto a coetanei di Edita – spiega l’illustratrice – perciò abbiamo scelto di non creare ambientazioni troppo tetre. Ho usato colori caldi all’inizio per raccontare la vita quotidiana di Edita, e poi più freddi per il campo, per mostrare anche a livello visivo il cambio di atmosfera”.

Testi clandestini e “libri parlanti”

Salva Rubio

Non è stato facile adattare il romanzo originale: “Nel testo di Iturbe – spiega Rubio – ci sono molti salti nel tempo, difficili da tradurre in un fumetto. Con il consenso dell’autore abbiamo scelto di dargli una struttura più lineare”.

È poco conosciuta la storia della biblioteca di Auschwitz, composta da alcuni testi entrati di nascosto con i prigionieri e di “libri parlanti”, narrati a voce in circoli serali: “Anch’io sono rimasta molto sorpresa leggendola – osserva Aroca – e ho ammirato il coraggio di Edita nel proteggere i libri, preziosi per lei, che amava la lettura, ma anche per gli altri prigionieri”.

Un altro particolare inedito è la presenza, nel blocco di Edita, di una compagnia teatrale: “Un dettaglio che non conoscevo – sottolinea Rubio – era nata per ingannare le apparenze nel caso ci fosse una visita della Croce Rossa, come poi è effettivamente avvenuto”. La graphic novel mette in risalto lo sforzo di costruire una quotidianità anche in un ambiente così ostile: “La gente cercava di creare legami – dice Rubio – e di essere felice anche nel campo, aggrappandosi a piccole cose”.

Come raccontare l’orrore ai più giovani

Loreto Aroca

Ci sono tanti personaggi nella storia, alcuni realmente esistiti, altri inventati: “Una figura particolarmente importante – sottolinea Aroca – è quella di Fredy Hirsch, per il suo ruolo nel campo, in cui era molto apprezzato per i suoi tentativi di salvaguardare le condizioni di vita di prigionieri. Un altro personaggio a cui sono legata è quello del professor Morgenstern, che non è reale ma è stato inserito nella storia dall’autore”.

C’è anche uno dei “cattivi” più temuti nella storia, Mengele, medico che praticava esperimenti sui prigionieri, con il suo carico di terrore: “È un personaggio negativo, maledetto, ogni volta che compare nel fumetto porta con sé una ventata d’aria gelida, è uno dei simboli dell’orrore dello sterminio nazista”.

Nella storia ci sono molti elementi forti: la morte, la tortura, la violenza. Come raccontarli a un pubblico giovane? “Il romanzo è per adulti – sottolinea Rubio -, anche se la protagonista è una ragazzina. Quando abbiamo realizzato l’adattamento abbiamo invece pensato a lettori coetanei della protagonista, per aiutarli a capire meglio ciò che è accaduto nel campo di Auschwitz. Abbiamo scelto una prospettiva parziale, mostrando solo la parte del campo in cui c’era Edita, e non tutto ciò che le accadeva intorno”.

Anche i ritmi della storia aiutano a stemperarne la drammaticità: “Abbiamo alternato – aggiunge Aroca -momenti quotidiani e altri più drammatici, anche se in un contesto molto complesso”.

La storia di Edita ha un lieto fine: “A differenza di tanti altri – conclude Salva Rubio – riesce a uscire dal campo, a sposarsi, ad avere nei figli e a testimoniare l’orrore di Auschwitz per il resto della vita”.