Quando le suore salvarono gli ebrei. Ritanna Armeni: “I conventi accoglievano i perseguitati”

Ricordare l’Olocausto e onorare l’imminente Giornata della Memoria con un romanzo attualissimo, per riflettere sui temi della guerra. È “Il secondo piano” (Ponte alle Grazie 2023, pp. 288, 16,90 euro), dell’autrice Ritanna Armeni, che ha tratto ispirazione da una straordinaria storia vera, quella di un convento di suore che a Roma, in via Poggio Moiano poco distante dalla Via Salaria, durante la II Guerra Mondiale, ospitò alcune famiglie ebree sfuggite al rastrellamento del Ghetto, nascondendovi al secondo piano i rifugiati. Le suore si trovarono costrette nello stesso tempo a concedere il pianoterra del convento per un’improvvisata infermeria nazista con le conseguenti tensioni di questa pericolosissima prossimità. 

I tedeschi al piano terra, gli ebrei al secondo piano. Due rampe di scale, pochi metri. In mezzo ci siamo noi. Dio ci aiuti”.

“Ci avete salvato”.

Di tutto ciò parliamo con Ritanna Armeni, giornalista, scrittrice, saggista e conduttrice televisiva, che fa parte del Comitato di direzione di Donne Chiesa Mondo (inserto dell’Osservatore Romano).

  • La nostra storia ha inizio in una Roma “città aperta” all’alba di sabato 16 ottobre del 1943, al Ghetto, poco lontano dal Vaticano. Ce ne vuole parlare? 

«Questo è un giorno che è rimasto nella memoria, viene ricordato e celebrato perché vi fu il rastrellamento degli abitanti del Ghetto quando i tedeschi decisero di deportare tutti gli ebrei lì residenti. Era l’alba del 16 ottobre e gli ebrei erano relativamente tranquilli, anche se si sapeva bene quale era il comportamento dei nazisti nei confronti della popolazione ebraica.  I nazisti andavano casa per casa a prelevare intere famiglie di ebrei, la vulgata diceva che venivano deportati in Germania per lavorare, purtroppo non era così. La popolazione del Ghetto di Roma era abbastanza tranquilla, perché qualche giorno prima alla richiesta dei tedeschi di consegnare 50 chili di oro, gli ebrei avevano risposto positivamente, raccogliendo oltre 50 chili e consegnandoli al rabbino. All’alba quindi, casa per casa, dopo aver bloccato qualsiasi via di uscita, i soldati tedeschi prelevarono a forza le famiglie caricandole su dei camion, destinazione Via della Lungara. Se gli abitanti delle zone limitrofe capirono cosa stava accadendo, il Vaticano, poco distante da lì, non sapeva nulla. In mattinata Pio XII fu avvertito dell’accaduto da una sua ex allieva, la principessa Enza Pignatelli». 

  • “La Chiesa, anche se silenziosamente, agisce”. Qual è stato durante l’occupazione tedesca l’atteggiamento di Pio XII? 

«Come sa l’atteggiamento di Pio XII nei confronti dei tedeschi è oggetto di studi da parte della ricerca storica. Posso dire l’idea che mi sono fatta io, che non sono una storica ma una giornalista che si è documentata. Roma era una città sotto ricatto. Il Vaticano ospitava antifascisti, alcuni comunisti, fascisti che non avevano aderito alla Repubblica di Salò, alcuni del Comitato di Liberazione Nazionale, sindacalisti, capi partigiani. Persone che vennero salvate dal Vaticano, ma non possiamo dire che i tedeschi non lo sapessero. I tedeschi sapevano, il Papa sapeva che i tedeschi sapevano, ogni forzatura sarebbe stata punita. Il Papa era sì un’autorità somma, ma anche un’autorità prigioniera. Alla fine delle Colonnate del Bernini, in Piazza San Pietro, c’erano due camionette dei tedeschi, non si capiva se le camionette stessero lì per controllare il Papa o per proteggerlo. In questa situazione ambigua c’era sicuramente un passato di Papa Pacelli non “antipatizzante” nei confronti del regime nazista. C’era un’estrema prudenza nella gestione di Roma, perché in quegli anni dal Papa dipendeva Roma. Pio XII era a conoscenza di quello che avveniva nei conventi, sicuramente non lo ha impedito e sicuramente non lo ha incoraggiato. Il vero problema era non rompere l’equilibrio». 

  • Da quando collabora con Donne Chiesa Mondo, il primo mensile del Vaticano sulle donne nella Chiesa, è entrata in contatto con molte suore. Nella Postfazione del libro scrive: “Mi ha stupito il loro femminismo”. Desidera chiarire la Sua riflessione?

«Il femminismo è la ricerca della libertà da parte della donna dopo secoli dove era stata proibita o fortemente limitata nei modi più vari. In questa ricerca della libertà vi sono anche alcune donne, spesso colte, che hanno scelto di farsi suore. Le suore sono donne libere che hanno scelto liberamente di non essere madri, consacrandosi al Signore. Alcune di loro operano nei posti più nascosti e pericolosi del Pianeta, lì dove svolgono la loro missione. Vivendo tra di loro le suore hanno conquistato uno sguardo femminile e autonomo sul mondo che è una delle più grandi conquiste che una femminista possa fare. Ciò significa che puoi dare il tuo contributo per costruire un mondo diverso da quello in cui viviamo, che è un mondo patriarcale e maschile. Quindi le suore da questo punto di vista hanno sviluppato secondo me una autonomia di pensiero e di azione che a buon diritto oggi le fa definire femministe». 

  • Durante l’occupazione nazista a Roma le suore avevano nascosto e salvato migliaia di ebrei per “soccorrere chi è ingiustamente perseguitato”, per non lasciare in strada “i nostri fratelli ebrei”. Fu una scelta autonoma di carità quello di consacrate come la Superiora del convento delle francescane della Misericordia, Madre Ignazia? 

«Sì, fu quello di Ignazia e di molte altre suore, un atto autonomo, modesto di carità. Loro pensarono di ubbidire a quanto la loro vocazione gli imponesse, cioè il dovere della carità. La Carità è la più grande delle virtù per Paolo, viene prima della Fede. Le suore furono delle antieroine, perché sono donne che fanno questo come giusto e normale. Il sentimento che le spinge non un sentimento di eroismo, è semplicemente il fatto di adempiere al compito al quale hanno dedicato la loro vita». 

  • “In quei giorni metà di Roma ospitava l’altra metà”. Non pensa che quel che avvenne nei conventi e nei monasteri nei nove mesi dell’occupazione nazista sia rimasto ai margini dei grandi racconti della Storia? 

«Assolutamente sì. Nel romanzo parlo di conventi femminili, a salvare ebrei, comunisti, renitenti alla leva, furono i conventi in generale, maschili e femminili. Con prevalenza di quelli femminili. L’accoglienza delle suore è importante, perché le regole nei conventi sono molto rigide. Con questo libro spero di aprire una breccia su questo altro tipo di Resistenza, che ritengo sia stata importante. La Storia è sempre scritta dagli uomini. Laici, in genere». 

  • È vero che fondamentale per la stesura del romanzo è stato l’apporto di suor Grazia Loparco? 

«Sì, suor Grazia è una donna straordinaria che ho conosciuto per caso, nell’ambito della mia collaborazione a Donne Chiesa Mondo. Generosamente mi ha fatto vedere le sue ricerche, dove la realtà supera di gran lunga la fantasia. Suor Grazia ha avuto un merito straordinario: in un mondo laico maschile, ha raccolto testimonianze e documenti di quel periodo. Le cose che vengono fuori dai suoi scritti e dai suoi studi sono interessantissimi».

  • Ha avuto modo di incontrare uno dei giovani ospiti del secondo piano del convento?

«Ho incontrato uno dei piccoli protagonisti del libro, ora è un signore anziano che va in giro a testimoniare la sua esperienza. Aveva cinque anni ai tempi del convento di via Poggio Moiano, nonostante ciò ricorda molte cose e molte delle cose che nel libro attribuisco ai bambini, sono cose che mi ha raccontato lui nelle due ore che abbiamo trascorso insieme e delle quali gliene sono molto grata, perché oltre ai documenti letti ho sentito anche una voce».