Congo, nove donne sopravvissute alla guerra da Bukavu a Kinshasa per incontrare Papa Francesco: “Un viaggio di speranza”

Nove donne, nove vittime, in viaggio per oltre 2mila chilometri dal Congo ostaggio della guerra fino alla sua capitale Kinshasa. Per incontrare Papa Francesco, domani, dopo la messa. E testimoniare quello che il mondo finora non ha visto o non ha voluto vedere: la rapina delle risorse minerarie, il tesoro delle multinazionali dell’elettronica, sulla pelle di chi nel cuore dell’Africa non ha difese.

Del viaggio, dall’est che confina con il Ruanda e l’Uganda fino alla capitale che guarda l’Oceano Atlantico, riferisce all’agenzia Dire don Justin Nkunzi. Questo religioso, che parla in perfetto italiano, risponde al telefono dalla città di Bukavu: qui, nella regione del Kivu, dove le incursioni di eserciti e gruppi ribelli non si sono fermate né durante né dopo la fine della Grande guerra africana nel 2003, dirige la Commissione giustizia e pace dell’arcidiocesi.

È stato lui, insieme con il vescovo e i suoi collaboratori, a organizzare il viaggio delle nove congolesi: loro sono giunte a Kinshasa venerdì scorso, in vista dell’arrivo di Francesco, insieme con altre 36 persone che portano sul proprio corpo i segni del conflitto.

“Alcune sono state mutilate, hanno perso i mariti, subito violenze terribili e contratto l’aids” dice don Nkunzi. “Erano arrivate a Bukavu dai villaggi al confine con il Ruanda: lì i ribelli bruciano tutto e usano anche il corpo delle donne come un campo di battaglia; noi, grazie ai servizi di aiuto delle nostre 43 parrocchie, le abbiamo accolte e assistite perché ritrovassero forza”.

Secondo il direttore della Commissione giustizia e pace, all’origine del conflitto nell’est della Repubblica democratica del Congo ci sono interessi economici. “Formazioni come il Mouvement du 23 mars sono solo strumenti” denuncia don Nkunzi: “L’obiettivo è creare una zona esentasse al di fuori del controllo del governo di Kinshasa dove non valga nessuna legge e sia possibile estrarre, vendere o contrabbandare coltan, cobalto e altri minerali preziosi, attraverso una regione di fatto indipendente e collegata con il Ruanda, l’Uganda, la Tanzania e da lì con i mercati mondiali”.

Quello di Francesco è allora un viaggio di speranza. “Che un Papa anziano e con problemi di salute si rechi in visita in Congo è una cosa bellissima” sottolinea don Nkunzi. “Francesco vuole vedere il viso delle persone e delle vittime, per testimoniare la sua vicinanza e, accompagnato da decine di giornalisti, far luce su questa situazione”.

La conferma starebbe nel progetto iniziale di viaggio, rivisto poi anche per ragioni di sicurezza. “Avrebbe dovuto avere incontri in diverse località dell’est” ricorda il religioso: “A Uvira, con le vittime delle alluvioni; a Goma, con chi era stato costretto a lasciare la propria casa a causa dell’eruzione vulcanica del 2021; infine a Butembo e a Bunia, nelle aree del Kivu dove si trovano alcune delle comunità più colpite dal conflitto armato”.

Domani, durante la messa, il Papa leggerà un brano del Vangelo di Giovanni. “Dirà ‘vi porto la pace, vi do la mia pace’ e, ancora, ‘rimanete nella pace'” sottolinea don Nkunzi. “Il mondo potrà farsi delle domande, perché noi siamo un po’ addolorati nel vedere come sembri che non tutte le persone e non tutti i popoli abbiano lo stesso valore: oggi tutti vogliono aiutare l’Ucraina ma noi l’Ucraina l’abbiamo nei villaggi da 20 anni, con la gente che muore ogni giorno e nessuno che ne parla o se ne preoccupa”.

È un segno che dopo il Congo il Papa visiti il Sud Sudan, un Paese ricco di petrolio, divenuto indipendente nel 2011 e solo due anni più tardi travolto da una guerra civile. A Juba Francesco atterrerà venerdì. “Nel mondo le Ucraine sono tante”, riprende don Nkunzi, “anche in Congo e in Sud Sudan”.

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