Che fatica vivere con un’adolescente ribelle. Suor Chiara: “I ragazzi soffrono, ascoltiamo il loro grido”

Buongiorno suor Chiara
Ho una figlia adolescente che da un po’ di tempo si ribella a qualsiasi cosa le chiediamo: non vuole più venire a Messa con noi la domenica, quando torna da scuola si chiude in camera sua e non si confida più con noi, si mostra infastidita se le proponiamo di partecipare alle attività dell’oratorio. È una questione che secondo noi riguarda sia la fede sia la vita. Non sappiamo se aspettare che passi o se provare con un approccio diverso. Che cosa ci consiglia?
Grazie mille. Anna

Quanto descrivi è fisiologico, cara Anna e ha a che fare con le leggi della crescita! Quando affermi: «Ho una figlia adolescente» dici tutto, perché l’adolescenza è proprio così e ancora di più, molto di più. 

Ci siamo passati tutti in questa età che gli anziani di un tempo chiamavano “balorda”. 

L’adolescenza dei nostri giorni, però, si sta rivelando veramente un tempo molto difficile e doloroso per i nostri ragazzi e per le famiglie: il Covid, con tutto ciò che esso ha comportato in lutti e isolamento, e la guerra in Ucraina stanno spegnendo nelle nuove generazioni la capacità e la voglia di sognare. 

Nel rispondere alla tua domanda, però, voglio lasciarmi aiutare da un articolo di Giulia Cananzi, trovato casualmente su Messaggero di sant’Antonio, n.9: “Adolescenti. Amami per come sono”. Leggendolo ho trovato alcune chiavi di lettura che ci possono aiutare a comprendere questa fase molto difficile e dolorosa dei nostri ragazzi, a cogliere gli errori compiuti da noi adulti e a individuare alcune piste di cammino per attraversare al meglio questo tempo dell’esistenza. 

In un tempo come il nostro non è chiara l’identità

Nell’articolo citato, la prof.ssa Daniela Lucangeli, psicologa dello sviluppo e docente dell’Università di Padova, tratteggia in modo molto realista e forte la situazione dei nostri adolescenti: «L’adolescenza non è mai stata un’età facile, perché essa è da milioni di anni un passaggio evolutivo fondamentale, che porta alla maturazione della propria identità. Il problema è che in un tempo come il nostro non è chiara l’identità”.

Poi, l’affondo: “Fino a che sono bambini (ndr. i nostri ragazzi) li mettiamo al centro della nostra tensione affettiva, li copriamo di attenzioni e concentriamo su di loro il nostro desiderio di “quasi perfezione”, tanto da trasformarli in “piccoli re”.

A un certo punto, proprio per dettato di specie, il “piccolo re” inizia il cammino verso la propria identità, passa dell’eteronomia, cioè dall’essere guidato dagli altri, all’autonomia, quindi all’autoaffermazione. Ebbene, a quel punto noi genitori veniamo spiazzati, non lo riconosciamo più e non lo sappiamo guidare, perché il piccolo re comanda pretende, allontana».

Educati a soddisfare i bisogni momentanei

L’articolo prosegue: “In questo processo i genitori, pensando di fare il bene, tendono a compiere due errori: da un lato anticipano i desideri del bambino sostituendosi a lui e dall’altro, per mancanza di tempo, compensano la loro assenza immergendolo in mille attività: «Così, al contempo, li riempiamo di attenzioni e li espropriamo di attenzioni. – chiosa la professoressa – Di fatto in questo modo non li abbiamo educati a desideri di futuro, ma a routine di compensazione dei bisogni momentanei. Siamo una generazione di adulti che non ha compreso l’importanza di crescere insieme ai propri figli, di crescere dunque come padri, madri, nonni. Sappiamo ripetere soltanto la modalità infantile».

La dimostrazione è la scarsa capacità degli adulti di intavolare un dialogo con i ragazzi: «Più che dialoghi sono interrogatori. Frasi del tipo: “Com’è andata oggi a scuola?”, “Che cosa hai fatto oggi?”, “Perché non mi parli di te?”, non sono esattamente quello di cui hanno bisogno».

Parole forti, chiare, sincere e dolorose che toccano “nervi scoperti” della nostra vita; esse ci mostrano che la problematica adolescenziale non riguarda solo la fede, né la vita dei ragazzi, ma coinvolge la cultura odierna e il modus vivendi della nostra società. 

Come diceva don Bosco: “L’educazione è cosa di cuore”

La sfida è impegnativa, difficile; il consiglio che, “in punta di piedi”, oso offrire a te e ad ogni genitore è quello di lasciarti aiutare da esperti e da competenti in materia educativa, senza, tuttavia tralasciare di affidare ogni giorno i vostri figli adolescenti al buon Dio che conosce, come nessun altro, gli abissi del loro cuore.

San Giovanni Bosco, esperto in educazione, di cui abbiamo celebrato da poco la memoria liturgica, scriveva ai suoi collaboratori: “Ricordatevi che l’educazione è cosa di cuore, e che Dio solo ne è il padrone, e noi non potremo riuscire a cosa alcuna, se Dio non ce ne insegna l’arte, e ce ne dà in mano le chiavi”.

Prima di concludere, però, voglio lasciarti una “perla”, tratta dall’articolo sopracitato: un adolescente, Giovanni di 16 anni scrive una lettera che risuona come un grido: 

«Vi do qualche suggerimento, prof. per voi e i vostri congressi sapienti. Fabbricate pillole di gioia in parole, opere e omissioni. In parole: tornate a dialogare con chi mettete al mondo. In opere: cominciate a vivere insieme a chi mettete al mondo». In omissioni: omettete il vostro peso dalle loro ali».

Allora, cara Anna, lasciamoci tutti ferire da questo grido e da quello di tutti i nostri ragazzi!

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *