Come aiutare chi “si vergogna” della malattia? Suor Chiara: nessuno va lasciato solo

Buongiorno suor Chiara,
parlando con un amico ho scoperto che da anni assiste sua madre che ha la malattia di Alzheimer. Ascoltando il suo racconto mi sono resa conto di quanto dolore provi all’idea che ormai si sia “dimenticata” di lui e quanto pudore abbia nel raccontarlo, anche se come amici potremmo forse dargli una mano. C’è stata nei giorni scorsi la Giornata del malato ma la mia impressione, come mi diceva questo mio amico è che la società preferisca dimenticare queste persone fragili e non dia un particolare sostegno ai familiari che le assistono. Che cosa ne pensa?
Silvia

Cara Silvia, la malattia e la fragilità sono fasi molto delicate della vita che chiedono attenzione, tenerezza, compassione, tanta disponibilità e pazienza. Esse ci mostrano tutta la nostra povertà e vulnerabilità.

Quando l’infermità è grave, irreversibile e degenerativa, può costituire una sorta di tabù: ci vergogniamo della debolezza che sembra spegnere la vita e persino la dignità.

La tentazione, allora, è negare la fragilità, oppure fuggire, non tanto o non solo per custodire la dignità dei malati da sguardi indiscreti con un sano pudore, ma per la vergogna che questa situazione genera in noi.

La malattia costituisce un “colpo basso” alla sensazione di onnipotenza che coviamo nel profondo del cuore: davanti a un ammalato o alla nostra stessa infermità sperimentiamo di essere poveri, proprio come ogni creatura del pianeta, bisognosi di essere aiutati nelle più normali azioni quotidiane. 

Rifiutiamo, allora, a priori, la possibilità di ammalarci e di pensare che i nostri cari si possono ammalare gravemente; pur di non affrontare questa realtà che ci mette a dura prova, innalziamo molte difese: non di rado il nostro cuore si agita tra paura e rabbia, angoscia e chiusura. 

La realtà sociale nella quale siamo inseriti, inoltre, non ci aiuta ad assumere e attraversare questa fase dell’esistenza che tutti, prima o poi, sperimentiamo molto da vicino; le leggi di mercato, infatti, non solo non favoriscono l’incontro con le persone vulnerabili, ma tendono a dimenticare, rasentando persino la disumanità.

«Temiamo la vulnerabilità e la pervasiva cultura del mercato ci spinge a negarla. Per la fragilità non c’è spazio. E così il male, quando irrompe e ci assale, ci lascia a terra tramortiti. Può accadere, allora, che gli altri ci abbandonino, o che paia a noi di doverli abbandonare, per non sentirci un peso nei loro confronti. Così inizia la solitudine, e ci avvelena il senso amaro di un’ingiustizia per cui sembra chiudersi anche il Cielo». (papa Francesco Messaggio per l’odierna giornata del Malato).

Eppure la malattia è parte della vita e sarebbe una grazia accoglierla, anche se con fatica, quale momento di crescita nella verità di noi stessi e nella nostra disponibilità a consegnarci a coloro che possono aiutarci, curarci e sostenerci nel nostro bisogno e nella nostra fragilità. 

Il cammino di riconciliazione con l’infermità è lungo e doloroso; chiede vicinanza, cura, pazienza e accompagnamento, per evitare il pericolo di cadere nella disperazione e in quella solitudine che uccide, con il timore di essere abbandonati anche da Dio. «La malattia fa parte della nostra esperienza umana. Ma essa può diventare disumana se è vissuta nell’isolamento e nell’abbandono, se non è accompagnata dalla cura e dalla compassione» (ibd.). 

Nella parabola del buon Samaritano, presa dal pontefice come icona nell’Enciclica “Fratelli tutti”, «la persona malmenata e derubata, abbandonata lungo la strada, rappresenta la condizione in cui sono lasciati troppi nostri fratelli e sorelle nel momento in cui hanno più bisogno di aiuto» (ibd).

Cosa possiamo fare in questa situazione se non allenarci a tenere bene gli occhi aperti sulla realtà nella quale viviamo per riconoscere le molte situazioni di bisogno e offrire la nostra disponibilità ad alleviare un poco le sofferenze? 

-Va e anche tu fa lo stesso! – Conclude la parabola invitando tutti ad avere un poco più di compassione e cura verso coloro che sono malati e infermi, poiché secondo la legge del Vangelo «non vale solo ciò che funziona e non conta solo chi produce. Le persone malate sono al centro del popolo di Dio, che avanza insieme a loro come profezia di un’umanità in cui ciascuno è prezioso e nessuno è da scartare» (ibd).

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