«Noi siamo come nani sulle spalle di giganti, così che possiamo vedere più cose di loro e più lontane, non certo per l’acume della vista o l’altezza del nostro corpo, ma perché siamo sollevati e portati in alto dalla statura dei giganti.»
In questi giorni, spesso, mi ritorna alla mente questa frase attribuita a Bernardo di Chartres, utilizzata da Umberto Eco, che ho letto per la prima volta nella consegna di un tema, quando ero alle magistrali. Mi aveva colpito, tanto da indurmi a scegliere quella traccia, piuttosto che altre. Non ricordo bene come ho affrontato ed elaborato la tematica proposta, ma la citazione mi è rimasta ben impressa ed è riaffiorata in me, dopo almeno 15 anni.
Il motivo? Forse le ricorrenti esperienze di “distacco” vissute ultimamente, per la morte di persone care, in particolare di consorelle che hanno segnato il mio cammino di consacrata. Eventi che inevitabilmente portano a riscoprire e a scrivere, nel senso letterale del termine, la biografia di queste figure significative. Forse è proprio il tentativo di trovare una risposta al dolore della separazione che mi fa’ vedere queste sorelle come “giganti” che mi hanno portato sulle loro spalle.
Se 15 anni fa tentai di dare una mia interpretazione a quell’aforisma, probabilmente molto diversa da quella di Umberto Eco e da altri filosofi medioevali che la utilizzarono, lo feci con argomentazioni molto generali, dedotte per lo più da riflessioni altrui che mi sentivo di condividere. Il “nocciolo” in questione era il valore di chi ci ha preceduto e il vantaggio nostro di essere venuti dopo di loro (detto in parole povere!).
Oggi, le stesse parole hanno in me un’eco diversa: quei giganti hanno un nome ed un cognome, un volto, sono legati a me da vincoli ben precisi, che né il tempo, né la morte possono interrompere.
Si tratta di persone di un certo “spessore”, che ho ammirato per il loro esempio di vita. Persone che hanno saputo fare sintesi tra l’umano e il divino. Donne che mi hanno tenuto per mano nei momenti non facili, come suor Silva che, settantenne, accogliendo me in comunità, fresca di studi e neo-professa di voti perpetui, si è dimostrata una vera madre e maestra: ha saputo condividere con me ciò che lei per prima aveva appreso dalla vita e le convinzioni che l’esperienza avevano maturato in lei.
Allora, dentro questa bellissima metafora, avverto la bellezza di sentirmi “nana”, fortunata di avere avuto dei giganti che mi hanno portato sulle loro spalle e che, anche ora che non sono più tra noi, continuano a trasmettermi la forza del loro sostegno. Piano piano, l’esperienza del dolore, lascia spazio ad un dolce ricordo e fa nascere nel cuore la gratitudine. “Quello che sono oggi, quello che so e che vivo l’ho ricevuto da altri”. È una consapevolezza che sprigiona energia positiva e aiuta a leggere la realtà con umiltà e verità.
Ma, stare sulle spalle dei giganti, è anche una grande responsabilità: si possono vedere più cose di loro e più lontane…
E qui mi sento provocata fortemente, chiamata ad un impegno maggiore, proprio ora che queste sorelle che ho incontrato nel mio cammino, sono nella Casa del Padre. È come se mi dicessero: ora tocca a te!
Sì, quello che mi hanno insegnato, non posso trattenerlo, devo ridonarlo…in una modalità mia, ricca anche della loro esperienza di vita!
Un bell’impegno!
Qualche giorno fa, mentre in cuor mio “consideravo” tutte queste cose, ho avuto l’opportunità di dialogare con un amico sul rischio di farci prendere dall’ansia delle tante cose da fare, lasciandoci sfuggire la vita e la sua bellezza, nascosta nelle piccole cose. Reciprocamente ci invitavamo a vivere con intensità il momento presente. Mi venne allora in mente il decalogo scritto da Papa Giovanni XXIII, che qui desidero condividere, nella convinzione che, tra i giganti che ci portano sulle spalle, vi sono anche persone che non abbiamo direttamente conosciuto, ma la cui santità può sostenerci e illuminarci:
Decalogo della quotidianità di Papa Giovanni XXIII
Solo per oggi cercherò di vivere alla giornata, senza voler risolvere il problema della mia vita tutto in una volta.
Solo per oggi avrò la massima cura del mio aspetto: vestirò con sobrietà; non alzerò la voce; sarò cortese nei modi; non criticherò nessuno; non pretenderò di migliorare o di disciplinare nessuno tranne me stesso.
Solo per oggi sarò felice nella certezza che sono stato creato per essere felice non solo nell’altro mondo, ma anche in questo.
Solo per oggi mi adatterò alle circostanze senza pretendere che le circostanze si adattino tutte ai miei desideri.
Solo per oggi dedicherò dieci minuti del mio tempo a qualche lettura buona, ricordando che come il cibo è necessario alla vita del corpo, così la buona lettura è necessaria alla vita dell’anima.
Solo per oggi compirò una buona azione e non lo dirò a nessuno.
Solo per oggi farò almeno una cosa che non desidero fare e se mi sentirò offeso nei miei sentimenti, farò in modo che nessuno se ne accorga.
Solo per oggi mi farò un programma: forse non lo seguirò a puntino, ma lo farò. E mi guarderò da due malanni: la fretta e l’indecisione.
Solo per oggi crederò fermamente, nonostante le apparenze contrarie, che la buona Provvidenza di Dio si occupa di me come se nessun altro esistesse al mondo.
Solo per oggi non avrò timori.
In modo particolare non avrò paura di godere di ciò che è bello e di credere alla bontà.
Posso ben fare, per dodici ore, ciò che mi sgomenterebbe se pensassi di doverlo fare per tutta la vita.
“Basta a ciascun giorno il suo affanno”.