“La speranza che cerchi”, intervista a Don Francesco Cristofaro

Don Francesco Cristofaro, giovane prete della provincia di Catanzaro, ripercorre la sua esperienza vissuta durante il lockdown, quando trasmetteva su YouTube e Instagram le sue messe e alcune preghiere e riflessioni per accompagnare i fedeli in quel periodo buio, nel libro “La speranza che cerchi” (BUR Rizzoli 2023, Prefazione di Eva Crosetta, con gli interventi del Cardinale Robert Sarah, Mons. P. Giulio Cerchietti e del Vescovo Claudio Maniago, pp. 272, 14,00 euro).

Ha raccolto in tal modo “Storie di santi e straordinarie vite comuni, per ritrovare la luce sulla strada”, come recita il sottotitolo del testo.
In questo libro don Francesco traccia un percorso per aiutarci a comprendere la ricchezza che la speranza è in grado di portare nelle nostre vite, come cercare di alimentarla e nutrirla coltivando la preghiera e la gratitudine con la scelta del sorriso e dell’amore come fiaccole su questa via.

Abbiamo intervistato don Francesco, nato a Catanzaro nel 1979, che ha conseguito la licenza in Teologia Spirituale presso la Pontificia Facoltà Teresianum di Roma, diventato sacerdote nel 2006, è parroco nella parrocchia Santa Maria Assunta di Simeri Crichi (CZ). Don Cristofaro conduce su Radio Mater la rubrica “Alla luce della fede” e su Padre Pio TV la trasmissione “Fatti per il Cielo”, inoltre collabora con Tv2000 nella trasmissione “L’ora solare”.

Don Cristofaro, avrebbe mai pensato che le Sue messe, preghiere e riflessioni
avrebbero riscosso così tanto successo in rete?

«Qualcosa di sconosciuto, un virus invisibile, ci stava seriamente minacciando. Papa Francesco ci ha ricordato che ci trovavamo sulla stessa barca. Le chiese erano chiuse e noi sacerdoti, soli su un altare a celebrare e a pregare per tutti. I miei parrocchiani erano smarriti. Avevano bisogno del loro “don” che li prendesse per mano, che li stringesse al suo cuore. Ho iniziato con il Santo Rosario. Ricordo ancora il primo pregato in diretta streaming sul mio canale YouTube. La mia voce si rompeva continuamente per l’emozione. Quel video divenne virale. Il giorno dopo eravamo in
tremila a pregare. E così, la coroncina alla Divina Misericordia, il buongiorno e la buonanotte quotidiane, la Santa Messa e tanto altro. Abbiamo formato una grande famiglia. Oggi continuo a trasmettere alcuni momenti. Successo? Non ci ho mai pensato. Ma la grande responsabilità, quella sì. Molti, vengono a trovarmi, a conoscermi, a pregare con me in quella Chiesetta piccola, piccola che ha tenuto accesa la luce della speranza».

In questi tempi di crisi, incertezza e instabilità, la parola speranza assume un significato più forte?
«Tra le virtù, la speranza è un pilastro insieme alla fede e alla carità, un pilastro su cui si deve poggiare la nostra vita, sotto cui rifugiarsi quando arrivano improvvisi terremoti a sconvolgere la nostra esistenza. Citando le parole della conduttrice Eva Crosetta, che ha firmato la prefazione al libro: “Se io avessi una botteguccia, fatta di una sola stanza vorrei mettermi a vendere sai cosa? La speranza.” Iniziava cosi una breve poesia dello scrittore Gianni Rodari. Ai giorni nostri questo commerciante avrebbe fatto sicuramente ottimi affari, ma l’autore si affretta subito a spiegare nel versetto successivo che considera la speranza talmente importante per chiunque da volerla vendere a poco prezzo fino a regalarla ai poveri e ai più bisognosi, senza lucrarci sopra. Chissà se esistono venditori così magnanimi oggi! Dobbiamo poter essere tutti uomini e donne che seminano speranza nei cuori».

Come uscire da quest’ansia costante, che ormai da tempo intossica le nostre esistenze?
«Mi vengono alla mente due frasi. La prima di Papa Francesco: “Non lasciatevi rubare la speranza”. Ogni giorno c’è qualcuno, qualcosa che vogliono strapparci la speranza dal cuore. Siamo sempre tentati a mollare, a non reagire a non combattere, perché i nostri sforzi appaiono vani. No, non possiamo permettere che ci venga rubata la speranza. L’altra frase è molto più antica e risale a San Pietro: “ Pronti sempre a rendere ragione della speranza che è in voi”. Questa speranza per noi cristiani ha un nome ed è Gesù Cristo. Per uscire dall’ansia dobbiamo coltivare la nostra amicizia
con Cristo, vero datore di speranza. Capisco anche che c’è chi non ha il dono della fede. A loro ma anche ai credenti dico: imparate a dare il giusto valore ad ogni cosa. Incominciate ad apprezzare tutto ciò che avete. Curate le relazioni. Dedicate più tempo alle persone care. Smettetela di correre. Iniziate a camminare e poi a passeggiare. Quante cose nuove scoprirete che sono sempre state sotto i vostri occhi ma non le avete mai viste».

Nel Suo libro, accanto alle vicende celebri di alcuni santi, il lettore ha modo di scoprire storie di persone comuni mai raccontate prima, cariche di dramma ma anche di coraggio. Ce ne vuole parlare in breve?
«In questo libro ho messo insieme otto storie: quattro sono santi straordinari e quattro sono storie comuni, della porta accanto. Il tema è la speranza ma a questo tema ho inserito quattro caratteristiche: il sorriso, la gratitudine, la preghiera e l’amore, tutte condizioni indispensabili per nutrire la speranza. La storia della piccola Silvia Tassone l’ho affiancata a quella di San Pio per la caratteristica della preghiera. Padre Pio pregava: si dice che ogni giorno pregasse oltre trenta rosari. Anche Silvia pregava e riportava tutti alla preghiera e a confidare nel Signore. Non mi meraviglio che una bambina facesse tutto questo. Nella storia della chiesa ci sono tanti bambini come Silvia. Mi vengono alla mente i tre pastorelli di Fatima. La più piccola di loro, Giacinta amava fare rinunce per amore di Gesù. Sulla bocca di Silvia troviamo espressioni: “Non voglio niente. Ho tutto”. Nel libro c’è anche Carlo Acutis che muore a 15 anni per leucemia fulminante. Ma lui già da piccolino, rinunciava alle scarpe nuove per aiutare i poveri.
Beh, Silvia, Carlo, Giacinta e chi sa quanti altri potrebbero farci una buona lezione. Silvia muore per un cancro a soli undici anni. Era felice, ballava, scriveva poesie e diceva: “Ho tutto. Mi sono venduta a Gesù”.
Nel libro c’è Assunta, tetraplegica. Vive da sempre in una carrozzina. Si esprime a fatica. La sua caratteristica è il sorriso. Sorride sempre, sorride a tutti e parla di speranza realizzando dei quadri bellissimi con il suo casco in testa e la tastiera di un computer. La sua storia è affiancata a San Gabriele dell’Addolorata riconosciuto come il Santo del sorriso.
C’è anche la storia di Angela. La caratteristica di questa donna? Le hanno sempre detto in decine di occasioni: “Non ce la farai mai!”. Lei, nata cieca e con diverse disabilità ha sempre lottato e ha potuto dire ogni volta: “Ce la farò!”. Oggi è laureata e lavora. La caratteristica per cui l’ho scelta è la gratitudine. La sua storia è affiancata a quella di Santa Giuseppina Bakhita.
Infine c’è Giuseppe, un ragazzo bellissimo, pieno di vitalità, un grande sportivo. Un incidente con la macchina gli stravolge la vita. Oggi vive in carrozzina ma l’amore per la vita è la caratteristica per cui l’ho scelto. La sua storia è affiancata a quella del Beato Carlo Acutis».

Queste “straordinarie vite comuni” che cosa possono insegnarci?
«Sono storie comuni, ma straordinarie, di santità nascosta, persone che, inaspettatamente, si sono trovate sul cammino della vita un muro cento volte più alto di loro. Non vedevano oltre, la loro vita era avvolta dal buio e il muro troppo alto per poter comprendere cosa ci fosse dall’altra parte, se ci sarebbe stata un’altra possibilità, se sarebbero sopravvissuti. La domanda che aleggia nelle storie è stata anche la mia e forse è anche la tua: “E adesso cosa farò?”. Loro non vedevano oltre il buio in cui erano sprofondati. Ma poi hanno incontrato quella luce che ha trasformato tutto. Questo è un libro semplice, breve e accessibile a tutti. Un libro che spero possa aiutare il lettore, chiunque esso sia, a capire che la vita è meravigliosamente bella, anche se segnata da momenti difficili, dolorosi, anche brutti e, umanamente parlando, difficili da accettare e digerire. Questo libro è la ragione della mia speranza. Ti farò conoscere i guerrieri della vita e magari, proprio tu che stai leggendo, ti riconoscerai in queste storie, sarai ispirato dalla loro forza e dal loro coraggio, e ritroverai la speranza».

Per quale motivo San Gabriele dell’Addolorata viene chiamato “il Santo del sorriso”?
«San Gabriele è uno dei santi giovani della storia della Chiesa, morto in tenera età. Ha lottato contro tante difficoltà per poter consacrare la sua vita al Signore. È riconosciuto come il santo del sorriso per il suo modo di vivere e affrontare la vita. Ha subito tanti lutti: la madre, alcuni fratelli, la sua stessa malattia ma sempre ha accolto tutto con un sorriso sereno e si è sempre affidato alla volontà del Signore».

Chi era Giuseppina Bakhita, la schiava divenuta Santa?
«I rapitori quando lei era ancora bambina le diedero il nome Bakhita che significa “fortunata”. Non so quanto fortuna avesse una bambina strappata alla sua famiglia, ridotta schiava, venduta a padroni che l’anno maltrattata, picchiata. Eppure, quella che è diventata la prima schiava santa, che riceve in età adulta la conversione ed è accolta tra le suore canossiane, arriverà a dire: “Sono grata al Signore
per la mia vita”. In tutto riusciva a scorgere la mano di Dio, che la proteggeva e la guidava. Con il povero italiano che aveva imparato, esortava tutti con parole semplici ad amare il Signore. Giovanni Paolo II la definirà “Sorella Universale”».