Siccità, servono tecniche di coltivazione diverse, più investimenti e un uso responsabile delle risorse

Campi e siccità

Alla necessità di gestire meglio l’acqua si può rispondere con tecniche di coltivazione e di uso delle risorse a disposizione più attente rispetto al passato.

Almeno tre milioni e mezzo di persone che presto potrebbero avere problemi con la scarsità di acqua. Senza dire dei danni, ormai più che miliardari, che l’agricoltura subisce ormai da mesi. Accanto agli effetti di un conflitto di fatto nel cuore dell’Europa, la produzione alimentare nazionale deve fare i conti con un cambio epocale del clima. Certo, in questi giorni potrebbe piovere, ma gli agricoltori devono mettere davvero “in campo” tutte le tecniche possibili per gestire meglio l’acqua.

Iniziando però da ciò che si può fare subito e programmando con attenzione gli investimenti.
Sempre sul piano dei dati, e per capire ancora meglio la situazione, oltre a quanto indicato dalla Associazione Nazionale dei Consorzi per la Gestione e la Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue (ANBI), c’è anche quanto stimato dal CNR (Consiglio Nazionale Ricerche): tra il 6% ed il 15% della popolazione italiana vive ormai in territori esposti ad una siccità severa od estrema.

Mentre il perdurare della siccità a febbraio “torna – spiegano i tecnici di ANBI -, a fare intravvedere lo spettro della siccità anche lungo le zone tirreniche dell’Italia centrale”. Intanto, le alte temperature stanno assottigliando il manto nevoso già piuttosto scarso sulle montagne e che, probabilmente, non potrà essere rimpinguato dalle nevicate che potrebbero ancora arrivare.
Ma, al di là dei dati, ciò che conta di più è stabilire cosa fare per rispondere efficacemente a tutto questo. Partendo – occorre dirlo subito -, dalla concretezza degli agricoltori. E’ così che alla necessità di gestire meglio l’acqua si può rispondere con tecniche di coltivazione e di uso delle risorse a disposizione più attente rispetto al passato, e con investimenti oculati in infrastrutture irrigue e di raccolta delle acqua che, fino ad oggi, pare non siano stati sufficienti.
In una pianura Padana dai tratti sempre più simili ad un deserto, si riscoprono così le tecniche di aridocoltura (l’anglosassone dry farming), cioè tutte quelle pratiche che, ad iniziare dalla scelte delle coltivazioni, posso consentire di arrivare ad una produzione agroalimentare importante anche con poca acqua.

Tecniche che arrivano in molti casi dalla buona tradizione agricola, ma che, adesso, possono beneficiare anche dell’aiuto finitor dalle nuove tecnologie informatiche e satellitari.
Poi ci sono gli investimenti da fare. E non solo a livello di singole aziende. Una politica economica di investimenti nelle infrastrutture idriche (canali, pozzi, bacini di raccolta, pompe), si fa infatti sempre più necessaria.

Solo l’ANBI ricorda che ci sono già 858 progetti perlopiù definitivi ed esecutivi per l’efficientamento della rete idraulica, ma che serve un investimento di circa 4,3 miliardi di euro. Poi, tra l’altro, servono tanti nuovi invasi alpini e collinare per raccogliere quanta più acqua possibile.

È un progetto – giusto e condivisibile -, di ANBI e Coldiretti che potrebbe partire fin da subito. La realizzazione di nuovi invasi, tuttavia, si scontra con le regole che devono essere comunque rispettate. Così gli agronomi e i forestali della Federazione Interregionale del Piemonte e della Valle D’Aosta (due tra le regioni più colpite dalla siccità), ricordano: giusto chiedere nuovi invasi “ma visti i tempi previsti dai vari procedimenti autorizzativi molto complicati, se si partisse oggi con questi investimenti forse i primi risultati si vedrebbero tra una ventina d’anni”.

Mentre è allarme anche sull’uso dei fondi dal PNRR da parte dei consorzi irrigui che – spiegano ancora gli agronomi -, hanno a disposizione risorse importanti a rischio di non essere usate. Oltre ai forti costi di progettazione, se arrivassero i fondi del PNRR, i Consorzi “potrebbero non riuscire ad avere anticipi non possono offrire garanzie fidejussorie”. Intanto la produzione agricola rischia davvero il tracollo. 

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