Siamo ancora capaci di discernimento? Un esercizio per cogliere il bene

Siamo ancora capaci di discernimento? Cioè di quella capacità non innata di “vedere chiaro” con la vista ma soprattutto con l’intelletto. Sembra che il nostro tempo abbia dimenticato l’importanza di questo esercizio.

Il discernimento è un allenamento di intelligenza, di perizia e di volontà a cogliere il bene.

Il discernimento è faticoso, ma indispensabile per vivere. Richiede che io mi conosca, che sappia cosa è bene per me qui ed ora e cosa è male per me qui ed ora.

Inoltre per chi crede, il discernimento si esprime in un rapporto filiale profondo con Dio, perché da lui possiamo ricevere consiglio, forza, sapienza e incoraggiamento nelle nostre scelte.

E se poi alla fine facciamo esperienza di qualcosa che sembrava un bene ed invece non lo era, oppure sapevamo quale fosse il nostro vero bene e non lo abbiamo scelto, questo rappresenta il nostro limite, che dobbiamo accettare.

Basta tornare alle prime pagine della Bibbia: ”se vuoi vivere, se vuoi gustare la vita ricordati che sei creatura, che non sei tu il criterio del Bene e del Male e che le scelte che farai avranno conseguenze per te, per gli altri e per il mondo (Gen. 2,16-17)

L’uomo infatti può rendere la terra un giardino magnifico o può farne un deserto di morte.

Basta guardare agli ultimi avvenimenti che stanno turbando il mondo.

Guerre dimenticate e guerre che continuano senza che nessuno riesca a fare qualcosa per fermare la sofferenza e la morte degli innocenti.

Gente che fugge da tragedie inimmaginabili e finisce la propria esistenza nel mare profondo della nostra indifferenza, mentre chi dovrebbe decidere, in realtà non decide nemmeno per una visita, uno sguardo alle vite distrutte e una preghiera e un abbraccio silenzioso ai sopravvissuti. 

Una pandemia che troppo presto sembra archiviata senza che gli esseri umani abbiano imparato nulla, ma senza memoria non si rimedia agli errori e inefficienze che nascono da lontano, per non ripeterli più.

Sembra che il nostro tempo abbia un po’ perso il significato della memoria personale, familiare, collettiva. Oggi assistiamo con naturalezza al susseguirsi vorticoso di notizie, dichiarazioni, opinioni, immagini e commenti che il giorno successivo sono già entrati nell’oblio, a tal punto che gli stessi personaggi posso tranquillamente sostenere idee e giudizi opposti … senza che nessuno obietti qualcosa.

La memoria al contrario ha un’importante funzione identitaria, ci ricorda le nostre radici, ci fa sapere da dove veniamo e chi siamo e a quale storia apparteniamo. Sì, perché ciascuno di noi è figlio della propria storia. Ciascuno di noi porta sempre con sé la sua origine e la sua appartenenza.

Ecco allora che i ricordi non solo descrivono un’identità personale o collettiva ma ne danno la forma. In questo modo noi scopriamo chi siamo veramente (come singoli e anche come comunità) attraverso la storia da cui veniamo. Così è per la famiglia, i ricordi danno forza ai legami e li consolidano.

Essere una famiglia è un’esperienza che attraversa il tempo e non si esaurisce nel presente dell’oggi. È appartenere ad una storia che parte prima di noi e continuerà dopo di noi.

In questo tempo e in questa società ormai sempre più liquida, abbandonare il ricordo di certi avvenimenti è un po’ come perdere sé stessi come individui, comunità.

Ma al di là di tanti proclami sulla salvaguardia delle nostre tradizioni, se perdiamo la nostra identità, se perdiamo noi stessi, la nostra dignità e la nostra umanità, se perdiamo la capacità di discernimento, quello che rimane è solo l’effimero, l’apparenza, la mondanità. Così finiremo facilmente per credere ai tanti falsi profeti di questo tempo, che millantano opinioni e propri interessi come verità e subito dopo cavalcano  opinioni opposte  e altri interessi pur di rimanere al centro dell’attenzione.

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