“Maria di Nazareth e Lucia Mondella: due giovani donne unite dal filo della Provvidenza”

Stefano Motta, nato a Desio (MB) professore di Lettere nelle scuole superiori, romanziere e saggista, a 150 anni dalla scomparsa di Alessandro Manzoni (Milano 7 marzo 1785 – 22 maggio 1873) mette a confronto il personaggio manzoniano di Lucia Mondella, figura femminile protagonista dei “Promessi sposi”, con Maria di Nazareth, rintracciando i tratti comuni tra le due figure e le loro vicende, nel volume“Il filo della storia. Maria in Manzoni” (Àncora Editrice 2023, Collana “Saggi”, Prefazione di Marco Ballarini, pp. 96 più 16 a colori, 14,00 euro), nel quale esplora la figura della Vergine nell’opera dello scrittore, poeta e drammaturgo lombardo. 

L’autore inoltre studia il ruolo che la Vergine ricopre complessivamente nei “Promessi sposi” e negli “Inni sacri” e, in generale, nella vita e nel pensiero di Manzoni. L’apparato iconografico rende più evidenti i richiami interni all’opera manzoniana, e suggerisce collegamenti con la pittura e la scultura.

“Questo libro parla di Lucia di Lecco e di Maria di Nazareth, due ragazze dalla vita limpida e semplice, che il filo della storia unisce in un comune travaglio: lasciarsi trovare, obbedire alla Provvidenza, fidarsi di Dio”.

Abbiamo intervistato l’autore Stefano Motta, membro della Giuria Tecnica del Premio Letterario Internazionale Manzoni (Lecco), socio onorario della Pontificia Academia Mariana Internationalis (Città del Vaticano), già preside del Collegio Arcivescovile Villoresi e che è stato direttore artistico del “Maggio Manzoniano” a Merate (LC).

  • Ci descrive quel filo che lega la storia di due giovani donne, due “filatrici”, vissute in epoche così lontane e differenti? 

«Il filo è una metafora, sia nel testo, perché stiamo parlando della prosa, di quello che traccia la trama in mezzo all’ordito, sia nella vita di tutti. Come nell’antichità la vita degli uomini era raffigurata attraverso il filo che le Parche filavano, così Maria fila, nell’iconografia orientale, il filo rosso di porpora per il telo del tempio. In alcune icone, nell’Annunciazione, Maria di Nazareth è vista mentre fila e con questo filo rosso è come se filasse il corpo di Gesù. La stessa cosa fa Lucia, cioè oltre al fatto che si occupasse di filare la seta, in tutte le illustrazioni dei “Promessi sposi”, Lucia lavora e l’unico lavoro incessante a cui è dedita è filare, come se fosse un simbolo. Intanto che la storia rischia di farle perdere il filo della questione, della sua vita, il suo lavoro, così noioso, meticoloso, metodico, è anche lo stesso che tiene legata Lucia al senso della sua storia. Lo stesso potremmo dire di Penelope, il filo è una metafora che percorre la letteratura e si adatta bene a Manzoni e a Lucia». 

  • “Addio, Cecilia! Riposa in pace! Stasera verremo anche noi, per restar sempre insieme. Prega intanto per noi; ch’io pregherò per te e per gli altri”. La figura dolente della madre di Cecilia, richiama l’immagine di Maria che vede morire il Figlio sulla croce? 

«Sì, la richiama dal punto di vista testuale, nel senso che Manzoni dissemina quelle pagine, quelle righe, di alcune parole che sono tecniche, tipo la parola “passione”, che in questo senso non ha un valore amoroso. Potremmo trovarla scritta con la P maiuscola e poco cambierebbe in questo senso. Sì, qualcuno ha definito questa scena della madre di Cecilia, che deposita il corpicino della bambina sul carro, una specie di Pietà di Michelangelo in piedi. I volti di entrambe le madri, che sono dignitosi anche nella sofferenza, si assomigliano. La loro è una dignità elegante, poi c’è il particolare del braccio a penzoloni. Il Cristo della Pietà ha un braccio a penzoloni, esattamente come in tutta l’iconografia occidentale delle Deposizioni Cristo ha il braccio a penzoloni. Manzoni non lo so, ma Francesco Gonin, che ha disegnato quella illustrazione nella versione definitiva dei “Promessi sposi” detta “quarantana” (1840-1842), conosceva benissimo la storia della pittura precedente e volle disegnare questo dettaglio del braccio della piccola Cecilia, per lasciare un simbolo». 

  • Tracce su Maria attraversano gli “Inni sacri”. Ce ne vuole parlare? 

«C’è un Inno sacro che si chiama “Il nome di Maria” ed è interessante, perché quando Manzoni ha iniziato a comporre gli “Inni sacri”, riguardanti le principali festività liturgiche cattolicesimo, forse non aveva in mente di comporre una raccolta, ha iniziato “La Resurrezione”. Il secondo inno sacro che compone è “Il nome di Maria”. Quest’ultima è una festività minore, ma Manzoni era affezionato a questa festività, perciò è lo stesso autore che ci suggerisce l’importanza della figura di Maria all’interno della sua produzione. Infatti, Maria appare in tutti gli altri quattro Inni (“La Resurrezione”, “Il Natale”, “La Passione”, “La Pentecoste”). Maria percorre come un filo rosso tutti gli Inni come se fossero il romanzo di Maria». 

  • “Lucia usciva in quel momento tutta attillata dalle mani della madre”. Quale affermazione di Lucia esprime l’idea manzoniana della Provvidenza? 

«Alla fine del romanzo. L’idea della Provvidenza manzoniana è l’idea di una Provvidenza non zuccherosa, ma salvifica, che però non fa sconti e che fa passare attraverso le “forche caudine” della sofferenza. Nell’ultima pagina dell’ultimo capitolo dei “Promessi sposi”, quando Lucia discute con Renzo, sono da poco diventati marito e moglie, lei dice al neo sposo: “Bene, il mio proposito quale è stato? Io non sono andata a cercare i guai: sono loro che sono venuti a cercare me. La volontà di Dio li usa per promettere a noi una gioia più certa e più grande”. Questa è la riflessione di una donna matura. Se noi prendessimo quest’ultima pagina del capitolo trentotto dei “Promessi sposi” e la leggessimo di fianco alla pagina di “Addio monti sorgenti dalle acque e elevati al cielo…”, cioè al capitolo ottavo, vedremmo che dopo trenta capitoli, nonostante tutto quello che le è capitato, Lucia è ancora convinta che i guai non vengono da soli, uno non se li va a cercare, ma vengono a causa di un disegno di Dio». 

  • Da poco è in libreria una Sua edizione dei “Promessi Sposi” per le scuole superiori, pubblicata da Loescher che presenta diverse e notevoli novità. Quali sono le principali?

«Ho lavorato sulla ricerca filologica, vedere i manoscritti della prima minuta, che è “Fermo e Lucia”, è molto interessante ed è importante farli vedere agli studenti. I “Promessi sposi” si leggono anche per imparare a scrivere bene. Questo testo usa la filologia e tratta la filologia come se fosse un’avventura, un po’ all’Indiana Jones… Inoltre il libro fornisce molte riproduzioni fotografiche dei manoscritti originali di Manzoni, è la prima volta che una cosa del genere si fa a livello scolastico e non a livello accademico. Qui riporto i “Promessi sposi” all’idea di romanzo, perché non si tratta di un libro di scuola, prima è pubblicato l’intero romanzo, dopo le pagine critiche, ecc…. I “Promessi sposi” è il primo romanzo multimediale della storia dove le illustrazioni che Manzoni ha fatto fare e che sono inserite, sono un ipertesto, cioè ci dicono qualcosa di più e di diverso rispetto a quello che dice il testo. Questa è la prima edizione scolastica per le scuole superiori che mette tutte le illustrazioni della Quarantana commentate. Non messe lì per bellezza ma come se fossero esse stesse un romanzo per immagini». 

  • Quali altre opere letterarie di Don Lisander suggerisce di (ri)leggere per celebrare questo importante anniversario? 

«La “Storia della Colonna infame”, per me il più bel romanzo scritto da Alessandro Manzoni. È un romanzo moderno, se lo leggessimo con i codici di oggi, scopriremmo che è un Legal thriller. Per certi versi è anche un romanzo gotico, noir. È un romanzo di inchiesta, nel senso che è un reportage giornalistico, Manzoni inserisce le fonti, le incorpora. Il ritmo del libro è concitato, drammatico, moderno. Mentre i “Promessi sposi” ha un piede nel Settecento, è un romanzo illuministico ed è un romanzo romantico dell’Ottocento, la “Storia della Colonna infame” ha un piede nel Seicento, dove sono ambientati i fatti raccontati, e un piede nel Novecento». 

  • Perché questo romanzo storico, il più famoso e il più letto tra quelli scritti in lingua italiana, è ancora attuale e conserva sempre un valore universale? 

«Se noi leggiamo i “Promessi sposi” in filigrana, anche pensando alla storia degli ultimi tre anni, ci rendiamo conto che Manzoni era Nostradamus, perché i codici con cui descrive la peste sono applicabili agli anni del Covid. I paradigmi culturali e strumentali sono cambiati ma il cuore dell’uomo non è cambiato. Le stesse azioni di profilassi di cui parla Manzoni nei “Promessi sposi”, applicabili ai giorni nostri, ci fa capire che questo romanzo ha ancora qualcosa da dire. Pensiamo al fenomeno di condizionamento operante dalla famiglia nei confronti di Gertrude che vuole a tutti i costi che si faccia monaca. Pensiamo all’episodio di violenza contro le donne di Don Rodrigo o dell’Innominato nei confronti di Lucia. Pensiamo al bullismo di Attilio e di Don Rodrigo, che usano le donne come loro strumenti di piacere in nome dell’onore. I grandi della letteratura del resto sono più grandi del tempo in cui sono vissuti».

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