Don Andrea Vecchi di Villa Di Serio: “Per mettersi in cammino ci vuole coraggio”

«Non so perché mi hai chiamato, Signore. Sotto sotto, mi sento un incapace. So soltanto che voglio donarti la mia vita e lo sto facendo. A volte ci riesco, mentre a volte no. Nel caso, ci riprovo. Una grazia tutta tua che mi hai chiamato e più non m’appartengo. Guidami verso la santità».

È l’invocazione, confidata sulle pagine del periodico «Alere», di don Andrea Vecchi, 29 anni. «Don Adrea — racconta don Paolo Piccinini, parroco di Villa di Serio — è un giovane allegro e gioviale, convintissimo del cammino percorso. Come augurio della comunità chiediamo a Maria Madre del Buon Consiglio, venerata nel nostro santuario, di accompagnarlo nel suo ministero. Il paese è già addobbato a festa. Per il suo arrivo ci sarà la banda».

Ma non soltanto festa esteriore, perché la parrocchia ha proposto diversi momenti: Giornata del Seminario, Messe, incontri per ogni categoria di persone curati dalla Fraternità Nazareth, adorazione eucaristica. Domenica 28 maggio invece prima Messa e nel pomeriggio processione del Corpus Domini.

A 20 anni di età, don Andrea Vecchi aveva frequentato il primo incontro di orientamento vocazionale, perché aveva capito di non poter più racchiudere in un cassetto un sogno che stava cullando da tempo. Così ha iniziato il cammino.

«Il Seminario — scrive sulle pagine di “Alere” a cui affida le sue riflessioni alla vigilia dell’ordinazione sacerdotale — è quel terreno fertile nel quale la mia storia ha trovato ciò che è necessario alla mia vita. Un legame con Dio intriso di tanti moti d’animo, sui quali domina quello della gratitudine. La si avverte in modo forte di fronte al tabernacolo, con quell’oro che, sfiorato dalla luce, s’accende e magnetizza lo sguardo, e fa gioire per quello che custodisce. La mia professione di fede è: “Signore, ti voglio bene ecco il mio “sì!”».

Poi aggiunge, riprendendo il Vangelo: «Se il chicco non muore, non porta frutto. Ora divento prete. Una grazia tutta del Signore, che mi hai chiamato». Una grazia che è anche felicità e coraggio.

E per spiegarlo ricorre a un romanzo di Alessandro D’Avenia “Ciò che inferno non è”. «Per essere felici serve solo coraggio. So che quel coraggio in qualche modo adesso è dentro di me, come un seme che prima è piccolissimo e poi diventa un albero dai rami grandi e forti, capace di dare ombra e riparo. Capace di ricevere ferite e stagioni. Di morire per tanti inverni e gemmare in altrettante primavere, sommando vita e morte in anelli sempre più ampi, unendo cielo e terra».

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