Come può l’arte dare sostegno ai percorsi di giustizia? Effettivamente non tutti i luoghi di cultura si prestano a essere luoghi di cura. Ma le persone che entrano nell’oratorio di San Lupo lo percepiscono istintivamente come un luogo solenne e suggestivo, riempito di ulteriori significati dall’esposizione di arte contemporanea “Artisti, Amici, Superstar”, curata da Giuliano Zanchi.
Le opere presenti racchiudono temi forti, che permettono di aprire discussioni su questioni rilevanti e di mediare questioni conflittuali. Ci invitano a cogliere il senso profondo del loro messaggio, spesso non immediatamente decifrabile e accendono un faro di senso su chiunque si lasci da loro interrogare.
La mostra ospitata a San Lupo è diventata un laboratorio sperimentale in cui attivare due differenti progetti in modo inedito: da un lato alcuni incontri di giustizia riparativa tra vittime e responsabili, a cura dei mediatori umanistici di Bergamo; dall’altro un percorso di messa alla prova per minori colpevoli di reati.
Entrambi hanno visto la partecipazione di Giovanna Brambilla, nel ruolo di storica dell’arte e mediatrice culturale.
Il primo progetto è nato dalla collaborazione tra il Comune, l’Assessorato per le politiche sociali e la Fondazione Bernareggi, che ha generosamente messo a disposizione le chiavi di San Lupo al di fuori degli orari di apertura al pubblico. Inizialmente Giovanna Brambilla ha lavorato insieme a Lorenza Pulinetti, mediatrice penale, per verificare intenti e fattibilità del progetto. Successivamente è stata progettata una formazione rivolta ai mediatori, perchè potessero lavorare insieme alle parti coinvolte a partire da queste opere, che costituiscono una sfida a perseguire la profondità. Chi accetta di entrare in una mediazione solitamente scommette sulla possibilità di riposizionare se stesso, di accettare la sfida con l’oltre; un atteggiamento che è caratteristico anche dell’artista. Gli incontri di giustizia riparativa, così come le opere d’arte, nascono per rispondere a un’esigenza e per dare un senso: non per forza con l’intento di riappacificare ma di cambiare lo sguardo; davanti ad entrambi serve un ascolto non giudicante. Questo è il ruolo che assume il mediatore: non aggiunge né toglie nulla quello che dicono le parti, non giudica né interpreta, fa semplicemente da specchio.
Il secondo progetto costituisce una fase del percorso regionale “Gioco di Squadra”, volto all’inclusione sociale di ragazzi minorenni colpevoli di reato, che vengono sollecitati a un cambiamento tramite la misura penale della messa alla prova. Il lavoro insiste molto sullo sguardo interiore e sull’autorappresentazione, per rimuovere lo stigma sociale ed evitare che l’etichetta sostituisca la persona. Dopo essere entrati in contatto con l’oratorio di San Lupo e con gli elementi di contesto delle opere d’arte, cinque ragazzi coinvolti ne hanno selezionata una ciascuno in cui si riconoscevano; hanno lavorato sui possibili modi di raccontarla, in dialogo con Giovanna Brambilla e Francesco Pandolfi, educatore di riferimento. La difficoltà iniziale da parte dei ragazzi è stata quella di comprendere il luogo (trasformatosi rapidamente da estraneo a intimo); una volta esplicitato il compito da svolgere, il successivo elemento problematico è stato quello di capirne l’utilità sociale. All’interno del percorso di messa alla prova sono previste alcune azioni che riguardano il recupero di sé e altre che riguardano la relazione con altri: attraverso i testi su cui i ragazzi hanno lavorato viene raccontata una prospettiva inedita su un’opera d’arte, ma soprattutto è stato possibile per loro restituire alla collettività un pezzetto di vita che costituisce la lente di questa visione. Ciò ha permesso loro di guardarsi e farsi guardare in modo differente, aprendosi alla relazione con gli altri: questa possibilità implica una fiducia ed è necessario che anche la collettività faccia un passo verso di loro.
In tutti gli incontri qui raccontati, pur essendo a porte chiuse, la sensazione dei partecipanti è stata quella di entrare in contatto con la collettività che frequenta l’oratorio di San Lupo e di esserne inclusi. È necessario infatti, perché tutto ciò non rimanga un’esperienza limitata, che anche la comunità tutta si dimostri accogliente verso chi si mette in gioco per una giustizia riparativa e trasformativa dell’esistente.
Marta Begna