“Destinati alla vita”, intervista a Mons. Vincenzo Paglia

Vecchiaia e fine vita sono temi centrali nella riflessione odierna, ma spesso ci si ferma solo ad analisi sociali e mediche.
Nel testo “Destinati alla vita” (Edizioni San Paolo 2024, Collana “Parole per lo Spirito”, pp. 224, 18.00 euro), con sottotitolo “Meno sopravvivenza, più risurrezione”, nuovo saggio di Vincenzo Paglia, nato a Boville Ernica (Frosinone) il 21 aprile 1945, presidente della Pontificia Accademia per la Vita e Gran Cancelliere del Pontificio Istituto Giovanni Paolo, lo scrittore unisce tali prospettive a una lettura spirituale di questo tempo così importante della nostra vita, partendo da un esame della vecchiaia come problema demografico, che interroga oggi soprattutto le società occidentali.


Il volume è diviso in tre parti: nella prima parte l’autore racconta le origini della legge approvata recentemente dal governo Meloni, alla cui progettazione e stesura egli stesso ha partecipato.
Nella parte centrale del saggio Mons. Paglia si occupa delle domande che riguardano il momento ultimo della nostra esistenza, nella consapevolezza che, se c’è un “fine vita” che non possiamo semplicemente rimuovere, esiste però anche una continuità della vita nella sua forma eterna, amata da Dio da sempre, e verso la quale dobbiamo camminare con speranza, meno preoccupati di sopravvivere e più attenti al tema del risorgere.
Nella parte conclusiva del libro, che è un commento all’ultimo articolo del Credo, «aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà», l’autore parla della prospettiva cristiana di una vita, che non finisce con la morte: narra della risurrezione di Gesù, del mistero della risurrezione della carne, della salvezza che va intesa come universale e non individuale, della beatitudine celeste.
Abbiamo dialogato con Mons. Paglia, convinto che la vecchiaia non sia solo età biologica ma anche età spirituale e tempo di crescita interiore.

Mons. Paglia, desidera spiegare il significato del titolo del libro?
«Nella società contemporanea c’è un’angoscia diffusa, molte sono le paure. Nel mondo oggi vi sono 59 guerre aperte con prospettive di sconvolgimenti incredibili. Pensiamo al pericolo atomico, al disastro climatico, alla pericolosità delle tecnologie emergenti e convergenti che possono trasformare radicalmente l’uomo. Di fronte a tutto questo il rischio dello smarrimento è più che comprensibile. Scienziati parlano di “antropocene”. Questa volta il mondo rischia la fine non per un Dio furioso che lo minaccia, ma per la corruzione dell’uomo. Ecco perché la fede in questo contesto ci dice che Dio vuole la pienezza della vita per tutti. Non siamo nelle mani del caos, del caso e di un destino cieco, siamo destinati a una vita piena che la morte non blocca, semmai angosciosamente prepara».

Siamo il secondo Paese al mondo, dopo il Giappone, con il maggiore tasso di invecchiamento della popolazione. Sostiene che la vecchiaia debba essere rivalutata e persino ripensata e riprogettata. Serve una rivoluzione culturale?
«Non c’è dubbio. Dobbiamo prenderci cura gli uni dagli altri, senza abbandonarci. È questa la vera rivoluzione culturale. Il Covid ci ha mostrato tragicamente una contraddizione. Per un verso per lo sviluppo tecnologico è stato positivo, per l’altro verso però la società non sa mantenerci. In quegli anni gli anziani sono morti a decine di migliaia, perché noi vecchi eravamo già scartati e il virus ci ha trovato sulla strada. Pensiamo che la vecchiaia sia uno scarto, sia la fine. Dobbiamo invece pensare al tempo della vecchiaia come a una risorsa, come una grande opportunità e questa riflessione è quanto mai urgente, perché il numero degli anziani è enorme e su questo popolo degli anziani non c’è pensiero, né economico, né politico, né culturale e nemmeno religioso».

L’11 marzo 2024 il Governo ha approvato definitivamente il Decreto Legislativo attuativo della Legge Delega 33/2023 contenente la riforma della non autosufficienza. Si tratta di un testo di legge, che sviluppa il progetto per il futuro dell’assistenza agli anziani previsto dalla Legge Delega alla cui progettazione e stesura ha partecipato. Ce ne vuole parlare?

«È stata un’esperienza straordinaria. La legge è stata approvata senza nessun voto contrario e questa è stata una grande conquista e qui devo lodare l’apparato politico. Quello che mi preoccupa ora è il finanziamento della legge, tuttavia ho detto e ripetuto ai responsabili del governo che questa legge, che ha al centro la volontà di aiutare gli anziani a casa, può essere applicata gradualmente con delle sperimentazioni. La legge porta un grande beneficio agli anziani, perché restano a casa, ma porta anche un grande beneficio economico, perché vuol dire un risparmio di miliardi. Con le sperimentazioni mostreremo immediatamente che gli anziani stanno meglio, lo Stato risparmia e quello che risparmia lo può investire per le successive sperimentazioni. C’è un consenso forte soprattutto tra gli operatori ospedalieri. Mi auguro che nelle prossime settimane presso il Ministero della Salute, il Ministero del Lavoro e il Governo si possa precisare questo decreto attuativo e dargli immediata applicazione. La Regione Lazio a ottobre inizierà la sperimentazione. Gli anziani devono restare nel loro ambiente, è una questione di civiltà e di cristianesimo».

Papa Francesco ha portato uno slancio ulteriore e decisivo per una nuova coscienza della Chiesa verso gli anziani e uno stimolo agli anziani stessi a prendersi le loro responsabilità. Che cosa ne pensa?
«Ne ho parlato direttamente con il Papa prima che intraprendesse queste catechesi. Se è vero che i giovani devono prendersi cura degli anziani, gli anziani devono continuare a sentirsi responsabili della società. Non parliamo del ruolo dei nonni, ma quanti anziani possono fare volontariato o lavorare ancora, ripensando la pensione? Papa Francesco con queste 18 catechesi vuole dire, per la prima volta: “Cosa vuol dire vivere cristianamente 30 anni da vecchi?”. La spiritualità degli anziani l’ha messa in atto Papa Francesco. Le catechesi servono a suscitare un nuovo movimento spirituale
per noi anziani. Perché essere anziani è bello».

«L’uomo che muore può forse rivivere?» (Gb 14,14). Come possiamo affrontare assieme il tema della morte: tutti, credenti e non credenti?
«Mai come ora il tema della morte è tanto attuale, quindi dobbiamo affrontarlo con grande sapienza. Non possiamo essere abbandonati nell’ultimo periodo della nostra esistenza, dobbiamo essere accompagnati. La morte non è la fine, è un passaggio, lo diceva già Seneca. Le piramidi per esempio testimoniano che la morte è un passaggio a un’altra vita. La fede cristiana dà una marcia in più, perché ci dice che noi risorgiamo con i nostri corpi. Come non lo sappiamo, lasciamo la sorpresa… Tutti noi siamo destinati a ritrovarci, ci abbracceremo, ci riconosceremo, e se questo è vero, comprenderemmo l’idiozia di farci la guerra».

Qual è il senso della morte? E verso dove andiamo?
«In questo senso la fede cristiana è di grande aiuto, per noi è difficile capire la fine della storia. Quando Gesù ne parla, parla di un “grande banchetto”. Per indicare che non siamo spiriti, rimaniamo umani, allora l’intera esistenza terrena è l’iniziazione a un mondo che sarà migliore di questo. Saremo come Gesù risorto. Il Paradiso e l’Inferno lo prepariamo già qui, quindi dobbiamo essere tutti fratelli».

Il paradiso: il meglio deve ancora venire e tutti i popoli vi sono destinati?
«Sì, l’amore di Dio è enorme. Come dice e scrive Papa Francesco, siamo in un unico Pianeta e siamo una sola famiglia composta da tanti popoli. Il Padre è il Padre di tutti, non scarta nessuno. Questo desiderio di Dio è quello che noi chiamiamo la volontà universale di salvezza. Dio vuole che tutti i popoli siano salvi anche se noi spesso ci comportiamo male, ma il Padre è sempre pronto ad abbracciarci».