Pubblichiamo l’intervento sulla riconciliazione e la speranza del vescovo di Bergamo Francesco Beschi all’Assemblea diocesana, con i testi che lo hanno accompagnato.
“Tutti sperano”, così dice il Papa
Il famoso proverbio: “La speranza è l’ultima a morire” evoca semplicemente la constatazione che “senza speranza non si può vivere”.
È la speranza che consente all’uomo di camminare sulla via della vita.
Non tutti la pensano così: per alcuni, la speranza è un inganno, è la virtù dei deboli e comunque di coloro che non possono o non vogliono muovere neppure un dito per cambiare le cose.
A me sembra che sia proprio il contrario: è la speranza che fa muovere tutte e dieci le dita, oggi e anche domani per generare vita.
Allora mi domando: sono un uomo di speranza? Che cosa spero, che cosa speriamo?
La ricerca di grandi narrazioni e la scoperta che il linguaggio della speranza è quello della poesia
Due “incanti” di speranza
Dante Alighieri – Divina Commedia – Paradiso – Canto XXV^
L’esame sulla speranza da parte di San Giacomo
dì quel ch’ell’ è, dì come se ne ’nfiora la mente tua, e dì onde a te venne
La risposta alla seconda domanda, viene data da Beatrice: non c’è nessun uomo che abbia più speranza di Dante
Alla prima risponde Dante: “Spene», diss’ io, «è uno attender certo de la gloria futura, il qual produce grazia divina e precedente merto. E pure alla terza sulle fonti della sua speranza: Antico e Nuovo Testamento, Davide. Isaia, Giovanni e Giacomo stesso.
La speranza dunque è una certezza
«La speranza – dice Vàclav Havel – è una dimensione della nostra anima e non dipende in sostanza da come si osserva il mondo o da come si valuta una situazione. Sento quindi che le sue radici più profonde sono conficcate nel trascendente, analogamente alle radici della responsabilità umana. Penso insomma che quella speranza profondissima e importantissima, l’unica che riesce a dispetto di tutto a tenerci a galla, a indurci a buone azioni e che è l’unica vera fonte della grandezza dell’anima umana e delle sue aspirazioni, la prendiamo per così dire da un altro luogo».
Ma sperare è difficile. E quello che è facile e l’inclinazione a disperare, ed è la grande tentazione.
Il secondo incanto. Charles Péguy, dall’opera “Il portico del mistero della seconda virtù”: parole che suonano particolarmente adatte alla situazione che sta vivendo l’umanità intera.
La fede va da sé. La fede cammina da sola. Per credere basta solo lasciarsi andare, basta solo guardare. Per non credere bisognerebbe violentarsi, torturarsi, tormentarsi, contrariarsi. Irrigidirsi. Prendersi a rovescio, mettersi a rovescio, andare all’inverso. …
La carità va purtroppo da sé. La carità cammina da sola. Per amare il proprio prossimo basta solo lasciarsi andare, basta solo guardare una tal miseria. Per non amare il proprio prossimo bisognerebbe violentarsi, torturarsi, tormentarsi, contrariarsi. Irrigidirsi. Farsi male. Snaturarsi, prendersi a rovescio, mettersi a rovescio. Andare all’inverso. …
Ma la speranza non va da sé. La speranza non va da sola: per sperare, bambina mia, bisogna esser molto felici, bisogna aver ottenuto, ricevuto una grande grazia.
È lei, questa piccola, che spinge avanti ogni cosa.
Perché la Fede non vede se non ciò che è.
E lei, lei vede ciò che sarà.
La Carità non ama se non ciò che è.
E lei, lei ama ciò che sarà.
Trascinata, aggrappata alle braccia delle due sorelle maggiori,
Che la tengono per mano,
La piccola speranza.
Avanza.
E in mezzo alle due sorelle maggiori sembra lasciarsi tirare.
Come una bambina che non abbia la forza di camminare.
E venga trascinata su questa strada contro la sua volontà.
Mentre è lei a far camminar le altre due.
E a trascinarle,
E a far camminare tutti quanti,
E a trascinarli.
Perché si lavora sempre solo per i bambini.
E le due grandi camminan solo per la piccola.
Tutti sperano, dice il Papa. E noi?
Cos’è questa grande grazia, questa felicità di cui parla Peguy?
E’ la fede in Gesù Cristo. La grande grazia è la certezza della fede.
All’inizio dell’enciclica Spe salvi Benedetto XVI parla di «speranza affidabile»: «La redenzione ci è offerta nel senso che ci è stata donata la speranza, una speranza affidabile, in virtù della quale noi possiamo affrontare il nostro presente: il presente, anche un presente faticoso, può essere vissuto ed accettato se conduce verso una meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri, se questa meta è così grande da giustificare la fatica del cammino» (n. 1).
Sperare, perciò, non significa sperare “qualcosa” da Dio, ma sperare Dio stesso. Per il fatto che la nostra natura è desiderio dell’Infinito, è Dio stesso l’unico in grado di riempire il desiderio.
Lo dice bene sant’Agostino: «Sia il Signore Dio tuo la tua speranza; non sperare qualcosa dal Signore Dio tuo, ma lo stesso tuo Signore sia la tua speranza. Molti […] da Dio sperano qualcosa al di fuori di Lui; ma tu cerca lo stesso tuo Dio; […] “E’ solo la speranza che ci fa propriamente cristiani”. Perchè è Cristo, la nostra speranza. (1Tm 1,1). Lui è il vincitore del peccato e della morte.
Servire la vita esige di servire la speranza: per un cristiano la speranza è un dono e per questo una responsabilità, al punto di diventare attiva lotta quotidiana contro la disperazione: “Siate sempre pronti a rispondere a chiunque vi chieda della speranza che è in voi” (1Pt 3,15)
Questa responsabilità oggi è drammatica ed è una delle sfide decisive della Chiesa: è in grado di aprire orizzonti di senso? Sa vivere della speranza del Regno dischiusale dal Cristo? E sa donare speranza a vite concrete, aprire il futuro a esistenze personali, mostrare che val la pena di vivere e di morire per Cristo? Sa chiamare alla vita bella e felice, buona e piena perché abitata dalla speranza, sull’esempio della vita di Gesù di Nazaret?
Papa Giovanni scriveva: “Non consultarti con le tue paure, ma con le tue speranze e i tuoi sogni. Non pensate alle vostre frustrazioni, ma al vostro potenziale irrealizzato. Non preoccupatevi per ciò che avete provato e fallito, ma di ciò che vi è ancora possibile fare“.
Il Giubileo come dono che annuncia speranza, comunica speranza, suscita speranza, alimenta speranza, esige speranza: un appello ad essere “Pellegrini di speranza”.
La Lettera pastorale: Pellegrini di Speranza – Servire la vita. Servire la speranza” e la sua scansione: Profeti, Generatori, Cercatori di Speranza
L’unità della proposta proprio nel titolo della lettera: “Servire la vita, servire la speranza”
Profeti di speranza: il cammino sinodale delle Chiese in Italia e le cinque stelle diocesane
Tra le molte considerazioni, sono state ricorrenti le richieste di ripensare il modo di celebrare la liturgia e soprattutto di proporre l’omelia (più coinvolgente e aderente alla vita); l’importanza della prossimità alle famiglie; la maggiore corresponsabilità dei laici, l’istituzione dei ministeri e il ripensamento degli organismi di comunione; la necessità di una formazione seria e aggiornata per il clero e per il laicato; la riflessione coraggiosa sulle strutture ecclesiali e la loro amministrazione. Sul sito della Diocesi si può trovare il testo della sintesi con tutte le provocazioni che ha suscitato.
Generatori di speranza: la speranza di Dio e la vita degli uomini. Le Terre esistenziali. Le dinamiche di riconciliazione.
Nella Terra della famiglia e dell’educazione
Nella Terra della vita sociale e della mondialità
Nella Terra della prossimità e della cura
Nella Terra della cultura e della comunicazione
Leggere i segni dei tempi e riconoscere e promuovere i segni di speranza
È necessario, quindi, porre attenzione al tanto bene che è presente nel mondo per non cadere nella tentazione di ritenerci sopraffatti dal male e dalla violenza. Ma i segni dei tempi, che racchiudono l’anelito del cuore umano, bisognoso della presenza salvifica di Dio, chiedono di essere trasformati in segni di speranza. (Snc 7)
Il compito del cristiano, in mezzo agli altri uomini, è quello di sperare per tutti. Il cristiano narra la propria speranza con il perdono e la riconciliazione: che consente al credente di vivere nella fraternità con persone che non lui ha scelto; che lo rende capace di amare anche il nemico, l’antipatico, colui che gli è ostile; che lo porta a vivere nella gioia e nella serenità anche le tribolazioni, le prove e le sofferenze; che lo guida al dono della vita, al martirio. (E.Bianchi)
Cercatori di speranza: il sacramento della Riconciliazione
La domanda di perdono, la speranza del perdono: ciò che molti cristiani hanno disgraziatamente perduto di vista.
«Quale mistero! Gli uomini respingono del Vangelo proprio ciò che costituisce la buona novella e che dovrebbe essere il cuore del cuore dell’umana speranza: quel perdono infinitamente rinnovato, quella remissione dei peccati attestata ogni volta che il Cristo vede una creatura ai suoi piedi: “I tuoi peccati ti sono rimessi”. Donde viene quest’odio per la gioia?» (F. Mauriac).
Servire la vita, servire la speranza, servire la “speranza più grande”
“La grande speranza, è l’unica capace di resistere ai naufragi delle piccole speranze”. È l’unica che dà segno e significato alle altre speranze, è l’unica che resta in piedi come germoglio isolato anche nelle macerie del male, pronta a ricrescere. In Cristo siamo stati redenti e salvati: è questa certezza, che nasce dalla fede nella Parola di Dio, a generare nel cuore del credente una «grande speranza», capace di dare senso a tutta la sua vita e di sostenerla anche nei momenti più difficili e faticosi. La certezza che questo futuro esiste, cambia anche il presente! Il presente viene toccato dalla realtà futura, e così le cose future si riversano in quelle presenti e le presenti in quelle future (cfr. Spe Salvi n.7).
Sperare è dolce, più dolce che credere, / più dolce che sapere.
La certezza ti appaga, la fede ti illumina / ma la speranza ti incanta.
La speranza tiene sospesa l’anima / sopra un filo d’argento / che si perde nei segreti spazi del cielo.
La speranza è l’attesa trepidante / del buon seminatore, / è l’ansia di chi si candida all’eterno.
La speranza è infinità d’amore
(Charles Péguy, Il portico del mistero della Seconda Virtù).