Ritorno alle origini
L’edizione 2024 di Molte Fedi sotto lo stesso cielo si è aperta. Se il primo appuntamento è stato un evento musicale, il concerto della Piccola Orchestra dei Popoli che si è esibita martedì 10 settembre in un gremito Teatro Serassi a Villa d’Almè, il primo dialogo con un ospite è stato l’incontro tenutosi presso il cinema Conca Verde di Bergamo nella serata di mercoledì 11 settembre. Il titolo dell’incontro recitava “Non si lavora così” e il suo protagonista è stato Stefano Massini, scrittore e drammaturgo che spesso si è interessato di lavoro e di diritti.
Iniziare una ricca rassegna di eventi culturali mettendo al centro dell’attenzione il tema del lavoro significa operare un “ritorno alle origini”. Il lavoro è il cuore del primo articolo della Costituzione della Repubblica italiana. È anche alle radici dell’associazione che ha ideato e che promuove Molte Fedi: le ACLI. Si tratta quindi di entrare in un tema di grande attualità, raramente approfondito con l’attenzione che meriterebbe anche se negli ultimi decenni oggetto di stravolgimenti a causa del mutamento del sistema economico in seguito al processo di globalizzazione. Soprattutto si tratta di entrare in una questione di rilevanza esistenziale per il vivere collettivo, di porsi delle domande sull’identità stessa del Paese al quale apparteniamo e sul suo futuro.
«Che cosa sei disposto ad accettare pur di lavorare? Perché dev’esserci sempre un ricatto sui posti di lavoro? Perché non basta usare le proprie mani e la propria mente per ottenere lo stipendio ma dev’esserci sempre qualcosa che devi pagare in termini di umiliazione, di calpestamento della tua identità o di salute?»
S. Massini a Piazza Pulita LA7 20/12/2019
La parola dice tutto
Nel 2016 Stefano Massini ha pubblicato con le edizioni Il Mulino “Lavoro” all’interno della collana Parole Controtempo. In questo breve testo, l’approccio al tema del lavoro è singolare: non da sociologo o da giurista, non da economista o da imprenditore ma da letterato e drammaturgo. Riprendendo quanto raccolto in quella pubblicazione, nell’incontro promosso dalle ACLI, Massini ha affrontato la questione del lavoro da un punto di vista culturale ed esistenziale facendo leva sullo studio dei vocaboli che lo esprimono.
Le parole infatti custodiscono e tramandano la cultura e la comprensione della realtà. Nella nostra lingua si usa ad esempio il termine “mestiere”: deriva da ministerium, il servizio minore – diverso da magisterium. Indica l’opera delle persone umili, il servizio: non nobile ma necessario, da vivere senza alterigia.
La parola “lavoro”, invece, deriva dal latino labor, termine che induce a pensare al tema della fatica fisica, dello sforzo. Ma l’onerosità di questa parola induce a pensare anche all’opera realizzata, frutto di creatività: il paragone è con il parto – insieme di dolore e vita nuova.
Un altro vocabolo da prendere in esame è “professione”: ci sono ruoli e mansioni che vengono dichiarate pubblicamente, rese note, ‘professate’. Sono così alcuni mestieri prestigiosi come l’architetto il medico, il notaio. Chi li pratica li porta a conoscenza proprio per la loro rilevanza collettiva.
L’uso della lingua suggerisce quindi il profondo senso di identificazione della società tradizionale con la mansione svolta dalle persone. Abitualmente ci si esprime dicendo: “Sono un medico, un infermiere, …” più che “faccio il medico, l’infermiere…”. Il lavoro è quindi sempre stato considerato veicolo di identità, di ruolo sociale, espressione di appartenenza alla vita collettiva. Eppure, le trasformazioni del sistema economico degli ultimi decenni hanno profondamente inciso sia nelle modalità con le quali il lavoro viene organizzato e svolto, sia nella percezione e nel valore che le persone gli attribuiscono. Il processo di identificazione e il senso di appartenenza non si trovano più nell’epoca dei lavori gestiti dagli algoritmi, resi frenetici dall’impatto che ha la tecnologia in ogni ambito di vita, dall’impossibilità di formulare regole e norme per governare un settore così rilevante per la vita delle persone con la stessa rapidità ed efficacia che hanno i cambiamenti dettati dalla competizione globale. In un mondo complesso e confuso si fatica a dare risposta alle nuove sfide. Il linguaggio, sottolinea Massini, ne porta traccia: “Oggi si dice ‘sto’ nel campo dell’edilizia…”.
«Ogni volta che qualcuno muore sul lavoro è una catastrofe, è una strage, è uno sfascio.
Io sono contro questo massacro,
sono contro questa questa carneficina,
sono contro questo sfascio:
sono anti-sfascista»S. Massini, intervento al concerto del I Maggio 2024
In silenzio per Samuel
Stefano Massini, nel passaggio più toccante del suo intervento a Bergamo, ricorda la vicenda di Samuel – lavoratore morto a soli 19 anni in seguito ad un incendio sviluppatosi nello stabilimento dove stava ripulendo una cisterna. Il ragazzo umbro lavorava per potersi mantenere ma la sua vera passione era la musica rap: la usava anche come mezzo per condividere un’idea di mondo.
Massini, che al tema della sicurezza sul lavoro ha dedicato vari testi e performance teatrali e televisive, lo definisce un vero portatore di talento che ha visto la sua carriera artistica stroncata da un incidente probabilmente evitabile.
La storia di questo ragazzo, purtroppo simile a molte altre, può diventare simbolo di una delle sfide che oggi il mondo del lavoro deve affrontare con urgenza e determinazione. Massini l’ha portata nel 2021 sul palco del ‘concertone’ organizzato dai sindacati a Roma in occasione del primo maggio. In quell’occasione i circa 50000 spettatori hanno potuto ascoltare uno dei brani del rapper in un clima di silenzio e di rispetto.
L’autore ricorda di aver fatto notare a quella folla che lo stesso numero di persone presenti al concerto corrisponde al numero dei morti sul lavoro in Italia negli ultimi 50 anni: circa 1000 ogni anno. «Per una paese che è una “Repubblica fondata sul lavoro” ogni persona che muore sul lavoro è una catastrofe, una carneficina, un massacro».
Trovare il modo per rendere il lavoro dignitoso e sicuro è oggi una sfida di civiltà non rinviabile. Pena il rischio di trasformare in lusso ciò che dovrebbe essere un diritto.