Uomini e storie

L’uomo non vive solo di pane, questo si sa, ma anche di storie. Sono proprio le storie che fanno l’uomo e ne tracciano il cammino, soprattutto in tempi di crisi come questi, ci dice Lucilla Giagnoni, che domani sera, 8 novembre, alle 20,45, porta in scena in anteprima nazionale «Ecce Homo» al Teatro Serassi di Villa d’Almè. «La capacità di raccontarsi, quindi anche il teatro, ha segnato una svolta nell’evoluzione, ha distinto l’homo sapiens dalle altre specie» sottolinea la «narrattrice». Il suo spettacolo fa parte della rassegna Teatro dello Spirito, curata da Maria Grazia Panigada, nell’ambito di Molte fedi sotto lo stesso cielo, ed è una lunga cavalcata sospesa tra spiritualità, scienza, narrazione, dal Vangelo a Pinocchio passando per l’antropologia. Sul palcoscenico una scenografia essenziale: una serie di pezzi di legno, la matrice creativa, la materia dalla quale prende vita, appunto, Pinocchio, che si illuminano dall’interno, generando storie.

Da dove nasce «Ecce Homo»?

Parte dalle domande lasciate aperte dal mio precedente spettacolo, Apocalisse. Un’Apocalisse intesa non come una fine ma come qualcosa di nuovo che si apre. Mi sono chiesta che uomini siamo noi oggi, e se siamo in grado di leggere e di capire questo nuovo inizio, questo rinnovamento del mondo. Ho lavorato quindi a costruire un viaggio per capire che cosa significa essere uomini.

Quali sono le tappe più importanti di questo viaggio?

È una cavalcata attraverso linguaggi molto diversi: dai testi sacri all’antropologia intesa però come racconto dell’evoluzione, passando attraverso una grande narrazione come Pinocchio, che non è affatto un testo per bambini, racconta con profondità il desiderio forte di diventare uomini. Mi piace questa esperienza di contaminazione dei linguaggi, l’ho già sperimentata in altri spettacoli come Big Bang, per esempio, dove la meccanica quantistica si legava con Shakespeare, e poi via via anche negli altri. Ci sono sempre dei punti di contatto, in fondo sono tutti linguaggi narrativi, racconti basati su una ricerca di indizi e di documenti.

E la meta qual è?

«In scena leggo alcuni testi sacri che dicono che quando si è in un momento di crisi compare il deserto, e dura almeno quarant’anni: non è una punizione ma un tempo di riformattazione del pensiero, il tempo che serve per formare una nuova generazione. Altrimenti si continua a riciclare modelli già usati, consueti, magari già falliti. È centrale il problema dell’educazione delle nuove generazioni. Così come per Pinocchio è fondamentale il ruolo di Geppetto, anche noi dobbiamo assumerci questo ruolo di padri e imparare ad educare. È inutile altrimenti affannarsi a cercare nuovi modelli di vita: possono nascere solo da qui. Invece continuiamo a rimandare. Il teatro per me è il posto giusto dove porre queste questioni al pubblico come urgenze che ormai non si possono più rimandare.

Come si legano il Vangelo e Pinocchio?

Incomincio dal Vangelo di Giovanni, dal punto in cui presenta questa figura dell’ecce homo: è il momento in cui Cristo viene mostrato alla folla mentre indossa il mantello di porpora e la corona di spine, dopo essere stato torturato. È un re sofferente che sta scendendo dal trono, un uomo che ha tutti i tributi della regalità nel momento in cui è più fragile e solo. Il suo sguardo ripreso da tanti pittori esprime la capacità di comprendere il bene e il male del mondo. I segni della regalità che normalmente esprimono il potere qui diventano segni di una grandezza interiore. Pinocchio invece è un testo anarchico, dove il potere e il senso sono scombinati. Parte da una matrice primordiale, un pezzo di legno che già parla come un bambino. E incomincia: c’era una volta un re, ma no, non c’era una volta un re… Sono arrivata per gradi a collegare questi due testi, ognuno a suo modo fortissimo. Anche in Pinocchio c’è la grande tensione della vita a incarnarsi e a diventare uomo con tutte le responsabilità che questo comporta».

Quali responsabilità?

«L’uomo è l’unico a poter compiere scelte di carattere globale, che riguardano tutta la terra, dall’economia alla genetica. È una situazione critica quella della nostra generazione, siamo in un momento delicato di svolta e di evoluzione: ormai il nostro spazio e tempo vitale è determinato da ciò che facciamo. L’antropologia ci dice che ci sono state specie umane diverse che si sono estinte, l’homo sapiens è ultima rimasta. E per di più ora a prevalere è soltanto l’homo economicus, tutto il resto è debole: la dimensione simbolica, artistica, inventiva e spirituale si sta perdendo. Questo è perciò un momento in cui bisogna fare scelte importanti che determinano l’evoluzione o l’estinzione. In questo quadro l’Ecce homo apre una prospettiva differente, indica un’altra direzione, che non va nel segno della conquista e dello sfruttamento, ma dell’umanità. Il mio spettacolo quindi cerca di aprire una riflessione sulle grandezze e le miserie dell’umano, un tema che sembra conosciutissimo ma non lo è: va riscoperto, in profondità».

Il programma dei prossimi spettacoli sul sito di Molte fedi sotto lo stesso cielo a questo link: http://www.moltefedisottolostessocielo.it/module-News-view-topic-55.phtml