Charlie Hebdo, la libertà di stampa e il resto

Charlie Hebdo è di nuovo in edicola. Due, tre milioni di copie invece dei sessantamila di prima. Si capisce. Ma il settimanale, per non rinnegare se stesso e per non retrocedere di fronte alla strage di cui è stato vittima, ha ripreso con vignette dedicate a Maometto. Un legale del giornale ha dichiarato il “diritto alla blasfemia”: la bestemmia contro le religioni è dunque segno – estremo, esemplare – di libertà.

DIRITTO ALLA LIBERTÀ E DIRITTO AL RISPETTO

A noi comunissimi mortali risulta strano che i difensori della libertà non arrivino a capire che il diritto alla bestemmia di un giornale lede il diritto al rispetto di milioni di credenti. E non su un tema qualsiasi, ma su un tema che, per i credenti, dà senso a tutta la loro esistenza. Si rende ridicolo qualche cosa di molto serio. Operazione possibile: in effetti lo si fa. Ma rischiosa. Anche quando non si ammazzasse (opportuno ricordare che i cristiani, in particolare, anche quando sono sbeffeggiati pesantemente non buttano mai bombe a nessuno: continuano anzi a essere ammazzati), anche quando non si ammazzasse si porta nella società un senso di profondo disagio. Non si costruisce una società dividendola. Anche la pace sociale costa qualcosa e non si può pretendere che sia soltanto una parte a pagare.

LIBERTÀ DI STAMPA E LIBERTÀ

Da notare anche che la libertà estrema di pochissimi va di pari passo con la poca libertà di molti. Anche in Francia ci sono i giornalisti che rivendicano la libertà di bestemmiare, ma ci sono molti che sono senza lavoro e senza casa. Non credo che un sans papier sia contento di essere ai margini della società solo perché legge Charlie Hebdo. In altre parole: le stragi di questi giorni fanno concentrare tutta l’attenzione della società su una parte piccolissima di essa. La libertà di una società non è solo libertà di stampa e la libertà di stampa non è solo la libertà di Charlie Hebdo. Con buona pace di tutti. E con buona pace anche di Charlie Hebdo.