Dio si fa vicino. Esplode la gioia

Immagine:  Incontro di Maria ed Elisabetta (scena dal film “Nativity” di Catherine Hardwicke)

In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.
Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo (vedi Vangelo di Luca 1, 39-45. Per leggere i testi liturgici di domenica 20 dicembre, quarto di Avvento “C”, clicca qui)

Il Natale è ormai alle porte. E la figura esemplare dell’attesa, che la liturgia ci propone nell’ultima domenica di avvento, è Maria.

LA FRETTA DI MARIA

L’angelo le ha parlato dell’anziana parente Elisabetta che aspetta, lei pure, un bambino. Maria si mette in viaggio “in fretta”, dice il testo, per andare a trovarla. La fretta di Maria non sembra essere quella dell’indaffarato, ma piuttosto quella, animata dalla gioia, di chi aspetta qualcosa di importante. Maria, quindi, non va a verificare per credere, ma poiché crede va a contemplare il segno che le è stato consegnato.

Arriva da Elisabetta e la saluta. Ma il normale, semplice atteggiamento di persone che si conoscono, diventa inattesa apertura a Dio: Elisabetta viene riempita di Spirito Santo, dice Luca. Lo Spirito Santo era sceso su Maria al momento dell’annuncio dell’angelo, ora scende su Elisabetta, in seguito sarà presente in tutti i momenti cruciali della vita di Gesù e dell’inizio della Chiesa, con la straordinaria effusione della Pentecoste. Elisabetta, riempita dallo Spirito Santo, esclama “a gran voce”, dice ancora l’evangelista. La grande voce di Elisabetta fa venire in mente il “grande grido” degli israeliti quando festeggiano l’arca dell’alleanza, segno della presenza di Dio in mezzo al suo popolo. Anche qui, in casa di Elisabetta, le antiche promesse si realizzano, Dio si fa presente e per questo Elisabetta grida di gioia.

LA GIOIA DELLE DUE DONNE

L’articolarsi dell’incontro tra Maria e Elisabetta può essere visto come possibile allusione simbolica del credere cristiano. L’amore spinge verso i fratelli (“partì in fretta”). L’amore verso i fratelli fa incontrare il Signore. L’incontro con il Signore provoca la gioia e la lode a Dio. La visita di Maria a Elisabetta è dunque come il manifestarsi del contagio salutare della salvezza e la gioia ne diventa l’immagine viva. Le attese si sono realizzate e quindi esplode la gioia.

LE RELAZIONI “BUONE”, ANTICIPAZIONE DEL PARADISO

Fatichiamo oggi a vivere nella gioia. D’altronde, in questi periodi di gravi difficoltà, molti motivi ce lo impediscono. Ma la gioia del cristiano viene dal Signore e dalla sua benevolenza verso di lui e questa non manca mai. Gioisco e sono beato perché il Signore si fa uomo per me. Per cui potremmo chiederci: la mancanza di gioia, di beatitudine, non potrebbe essere il segno che il contagio salutare della Bella Notizia non ci ha toccato? Oltretutto, la gioia dell’incontro con il Signore dovrebbe svelarsi nella gioia dell’incontro con i fratelli. La gioia, infatti, nasce dalle relazioni, da questa forma tipicamente umana, insostituibile, di ricchezza. Niente è più arricchente, infatti, del bene che i fratelli ci vogliono, niente è più drammatico della sua perdita, dell’odio e degli scontri sociali e niente è più consolante della certezza che le nostre relazioni belle saranno tutte salvate: questo sarà il paradiso: il trionfo delle relazioni. In questo senso, l’incontro di Elisabetta e Maria può essere visto come un’immagine mirabile del paradiso: Dio è lì e fa balzare di gioia chi lo incontra. E quelli che lo incontrano non fanno altro che lodarlo: lo lodano perché sono nella gioia e la loro più grande gioia sta nel lodarlo. Pensiamo allora a come sono preziose le nostre relazioni di famiglia, di amicizia, di lavoro: tutte le volte che noi riusciamo a vivere bene quelle relazioni e a trarne della gioia noi anticipiamo il paradiso.

“Quando sarò in cielo mi avvicinerò al buon Dio… Il buon Dio mi dirà: ‘Cosa vuoi, bambina mia?’. Ed io risponderà: ‘Gioia per tutti quelli che amo’. E farò lo stesso davanti a tutti i santi” (Teresa di Lisieux, Ultimi colloqui).