Salvatore Natoli: «La misericordia scioglie il male. Non esclude la difesa né la giustizia. Ma aiuta a costruire»

«Il perdono se noi lo vogliamo considerare nella sua radice più profonda, anche per chi non crede, vuol dire mettere l’altro nella condizione di staccarsi dal suo passato e riprendere il cammino di bontà. “Io ti condono il male che hai commesso, perché non ti gravi più sulle spalle, perché non sia una catena che ti trattiene”. Il perdono libera dal passato per un futuro di miglioramento. Gesù dice: “Sono rimessi i tuoi peccati”, fa il miracolo e poi “Va’ e non peccare più”. Quindi il perdono consente agli uomini una ripartenza e scioglie gli uomini dal debito del loro passato. Questo è il significato del Giubileo biblico nel quale venivano sciolti i debiti. Questo è un atteggiamento che può valere per la Chiesa ma è anche un atteggiamento antropologico che scioglie gli uomini dal peso del loro passato a condizione però che si avviino su un cammino di miglioramento, di ricerca. Molte volte però prevale il senso della vendetta, che vuol dire rimanere legati al passato, quindi la spirale della vendetta non produce avanzamento ma sviluppa una dimensione di odio, soprattutto se l’offesa è stata grande il sentimento di vendetta non finisce mai. Neanche quando l’altro è stato distrutto». Il filosofo Salvatore Natoli spiega il significato delle parole “Perdono” e “Misericordia”, protagoniste del primo Giubileo a tema voluto da Papa Francesco. Infatti, «in questa fase di grandi cambiamenti culturali, è importante che le persone di buona volontà riflettano e sentano il desiderio di un Dio misericordioso, che capisca e consoli anche davanti ai peccati e sia pronto a perdonare» chiarisce Natoli, nato a Patti nel 1942, Professore ordinario di filosofia teoretica presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi di Milano Bicocca.
“Inizia il tempo del perdono”, ha detto Papa Francesco durante l’omelia che è seguita all’apertura della Porta Santa di San Giovanni in Laterano a Roma. Secondo Lei qual è l’atteggiamento di misericordia più significativo per l’uomo moderno?
«L’atteggiamento di misericordia vale in qualsiasi situazione e dipende dalla situazione di implicazione con il male in cui l’individuo o una società si trova. In questo caso l’atteggiamento di misericordia si fa carico di quel problema. Nella parabola del Buon Samaritano, quest’ultimo è mosso dai visceri, è preso talmente dalla situazione di bisogno che non resiste all’aiuto, perché si sente trasportato e preso nel cuore. Ecco, questa è la misericordia. Ciò può avvenire per un carcerato, per una società, dove c’è la fame e la malattia, può avvenire in un rapporto di amicizia che si è consumato, può avvenire all’interno della famiglia quando ci sono crisi e incomprensioni. L’atteggiamento della misericordia tende non tanto a rompere, quanto a ripartire. Si fa carico del male per redimerlo, non a caso una parola biblica che spesso usiamo è “redenzione”. Il significato biblico vero di redenzione è “Ti ho sciolto da un peccato”, “ti riscatto dal male”. Se invece la misericordia non è questo atteggiamento generale del venire incontro a un bisogno, ma la misericordia è un modo per aggirare la giustizia, allora a questo punto non è più misericordia ma è connivenza con il male. Non bisogna mai staccare la giustizia dalla misericordia, anzi la misericordia è quell’atteggiamento che mette l’altro nelle condizioni della giustizia».
Il tema del perdono per Bergoglio, dopo gli attentati di Parigi del 13 novembre scorso, è diventato più attuale che mai. A chi ipotizzava di rimandare il Giubileo, il Santo Padre ha risposto che l’Anno Santo Straordinario si sarebbe fatto, perché “alla luce di quei tragici avvenimenti, di esso c’è più che mai bisogno”. Concorda?
«Sì, da questo punto di vista il Papa ha ragione. Rimandare il Giubileo sarebbe stata una resa al Male, questo è stato un evento particolare. Certo, il tema della misericordia, del perdono, appare con maggiore evidenza dopo una strage. Allora cosa fai a quel punto, scateni una guerra di religione? Proprio perché è successo questo, allora evitiamo di avere paura e cerchiamo di rimettere a posto le cose. Il discorso della Chiesa e non solo della Chiesa è sempre quello di comprendere le ragioni che hanno prodotto certi mali. Sarebbe scorretto, tramite la misericordia, ignorare, e questo soprattutto sul piano politico, delle matrici distruttive. È chiaro che la misericordia non esclude il diritto alla difesa ma dinanzi a eventi di tale portata si deve andare incontro a quelle parti migliori che possono essere i tuoi interlocutori. Questo permette che non siano tagliati i ponti, che rimanga una dimensione di apertura delle porte. Penso alla Porta Santa, quindi apriamo le porte, facciamo fluire i rapporti tra le persone. Davanti a un ostacolo così violento non dobbiamo arrenderci, perché altrimenti vince il Male».
“Chiedete perdono, non ci porterete a odiare”, ha detto il Patriarca di Venezia durante i funerali laici di Valeria Solesin, la giovane ricercatrice veneziana dell’Università della Sorbona uccisa dai terroristi a Parigi il 13 novembre, alle cui esequie in Piazza San Marco hanno partecipato i rappresentanti delle religioni, cristiana, ebraica e musulmana. Evidentemente i terroristi dell’Isis non erano a conoscenza del fatto che la misericordia è anche uno dei modi con i quali i musulmani descrivono Dio. Che cosa ne pensa?
«Qui il problema è più antropologico che religioso. Chi si ritiene detentore assoluto della Verità, diventa lui produttore di un male assoluto. Se tu non ti ritieni titolare di una Verità assoluta non hai alcun diritto di imporla. Qui la religione diventa un elemento di distruzione, cioè uccidere in nome della Verità. Non è detto che i terroristi dell’Isis uccidono in nome della Verità, perché ci può essere certamente un fanatismo religioso, ma quest’ultimo può essere un paramento di egoismi, di interessi materiali. C’è quindi una commistione tra motivazioni ufficiali, religiose, le quali unite a interessi legati al giro del denaro, al petrolio, fanno sì che sommati insieme diventano disastrosi. Quindi talvolta il perdono di Dio può fallire se l’uomo vi resiste, cioè se a fronte del perdono il soggetto in questione non inizia un cammino di miglioramento, per quanto Dio lo liberi, è lui che rimane ancorato al proprio passato. Nel Vangelo è specificato: “Va’ e non peccare più” ma se tu continui a peccare il perdono fallisce, perché non diventa l’occasione per una tua ripresa. Chi rimane prigioniero del Male è colui che non è cambiato dal perdono. Non sempre il perdono ha la forza di cambiare il perdonato, allora questi nonostante gli si offra il perdono produce una resistenza dinanzi a Dio e anche dinanzi all’offerta che chiunque gli può fare. Quindi il perdono può fallire».
Giovanni Paolo II all’indomani degli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001 pubblicò un messaggio per la Giornata della Pace affermando che non c’è pace senza giustizia ma non c’è giustizia senza perdono. È una regola sempre valida?
«Sì, l’ingiustizia genera male, il perdono non replica male con il male e cerca di rimettere gli uomini nelle condizioni di produrre bene, ma ci può essere una resistenza al bene. Detto questo che fai, smetti di essere misericordioso? No, continui a essere misericordioso difendendo però a questo punto le ragioni della giustizia perché altrimenti se non instauri la giustizia creerai sempre una spirale di male. Ecco perché giustizia e misericordia non possono essere cancellati, io dico che la misericordia riesce quando avvia gli uomini sul cammino della giustizia».