Sacra Spina, una questione di sguardi. Il vescovo a San Giovanni Bianco: «Un segno della Passione. Diventiamo anche noi come una spina che fiorisce»

La giornata di ringraziamento per il segno della Sacra Spina a San Giovanni Bianco è stata una grande festa, come non se ne vedevano da tempo. Fin dal mattino c’è stata una grandissima affluenza di pellegrini, che è culminata nel pomeriggio con la processione, alla quale si stima che fossero presenti oltre cinquemila persone. È stata una giornata molto intensa che noi sintetizziamo con l’omelia pronunciata dal vescovo Francesco Beschi durante la Messa del mattino, che offre il senso della «fioritura» consegnandolo come una sorta di «mandato» alla popolazione di San Giovanni Bianco e a tutti i fedeli.

Questo segno ci viene offerto attraverso una spina, simbolo della Passione di Cristo. Separare il segno dal ricordo della Passione, soprattutto da quello che la Passione di Gesù rappresenta nella coscienza di un cristiano, significherebbe allontanarsi in maniera inevitabile dal suo valore. Ritornare alla Passione di Gesù significa sempre tornare a un amore sorprendente, che ancora oggi, ai nostri giorni, noi stentiamo a credere. Noi tutti lo desideriamo questo amore ma fatichiamo a dargli credito, perché riteniamo che ci siano altre forze più decisive. È un po’ strano che in ogni tempo, in ogni luogo, in ogni cultura qualsiasi persona umana attenda l’amore e veda nella possibilità che si realizzi il significato e il valore della sua vita, ma che tutti siamo, d’altra parte, sempre così sospettosi nei confronti dell’amore e della sua potenza. Non ci fidiamo della sua capacità di diventare risolutivo rispetto a ogni vicenda umana.
La spina ci riporta quindi alla rivelazione di Cristo e di un amore che ci viene consegnato in una maniera decisiva, che interpella la profondità della nostra libertà e della nostra coscienza. È lo stesso amore di Dio, che pure noi mettiamo in dubbio nei momenti delle prove della nostra esistenza, ma che qui ci viene rivelato in una maniera sublime. Dio attraverso suo figlio ci offre un amore che non ha nessun limite nemmeno quello del male, del peccato e della morte. La prova di un amore così, della sua credibilità, ci è data proprio dalla spina. Se tutti desideriamo amore, nessuno desidera soffrire. D’altra parte il sigillo di questo amore è proprio l’offerta totale che Gesù fa di sé attraversando anche l’oscurità e la sofferenza.
La spina è un segno che la tradizione ci consegna. E non è sola. Le spine sono molte e diffuse in tutto il mondo perché appartenevano a una corona. Nella narrazione della Passione viene offerta questa immagine grandissima del Signore nell’incoronazione di spine: paradossalmente un’ulteriore tortura viene inflitta sotto il segno dell’immagine regale. Contemporaneamente al dolore fisico c’è quello dell’umiliazione. “Guardate che re!” dicono i suoi aguzzini. La spina ci ricorda quindi la regalità di Cristo. E che noi siamo i figli di questo re. E in questo contesto si vede bene come il segno della spina non sia certo qualcosa che possa farci evadere dalla nostra realtà. Parla anzi di due dimensioni: la prima è la misericordia, che si esprime nelle opere e nella vita. Il segno della Sacra Spina avviene nell’anno del Giubileo della Misericordia. E siamo qui a dire grazie proprio nel giorno della Divina Misericordia.
La corona di spine ci ricorda poi che la regalità di Cristo non si afferma in termini di potere così come noi lo concepiamo, un potere che si impossessa in qualche modo di qualcosa: è invece il potere di colui che serve, e in questo servizio si manifesta concretamente una misericordia capace di avvicinare qualsiasi miseria umana e in particolare la miseria più grande che è il peccato, con il segno – anche questo molto atteso e più volte disatteso – del perdono.
Il segno è manifestato dalla fioritura della spina, in una circostanza così particolare come quella che vede coincidere il 25 marzo, Annunciazione del Signore, con il venerdì santo. Il giorno in cui si ricorda la solidarietà di Dio che diventa uomo e percorre fino in fondo la vicenda umana perché nessuno sia dimenticato. Se la coincidenza è quella la fioritura non avviene quel giorno, così è stato anche nel 1932, perché è proprio un segno: la Passione di Gesù non si conclude in se stessa. Rimane segno indelebile e motivo di speranza perché manifestazione totale dell’amore di Dio fiorisce nella sua resurrezione. Quello che noi speriamo ci viene consegnato con la resurrezione di Gesù, imparagonabile a questo, che pure ci parla dell’umiltà, della modestia di Cristo risorto che si offre all’universo intero. La resurrezione è l’inizio di una vita nuova che molti hanno sperimentato anche attraverso il sacramento della Confessione. Raccogliere questo segno, la fioritura di qualcosa di nuovo, significa diventare capaci noi di fare di questa esperienza della nostra fede qualcosa che genera vita nuova, cacciando il senso di stanchezza, di rassegnazione e di paura. Nella misura in cui raccogliamo questo segno minuscolo anche nelle sue dimensione diventiamo capaci di generare vita: anche quella che splende nel volto di un figlio, ma poi quella di cui tutti abbiamo bisogno, quella che risponde alle nostre attese di speranza, di salute, di serenità, a partire dalle nostre famiglie, dalle nostre relazioni. In questi giorni c’è stato un grande movimento di persone arrivate anche da molto lontano che diventa un segno e ci dice quello che Papa Benedetto e Papa Francesco hanno detto con molta insistenza: la fede deve essere attrattiva. Non si comunica per imposizione. E noi abbiamo potuto constatare che in questi giorni intensi c’è stato un forte movimento attrattivo. Ora che le feste si concluderanno, rimanga in noi la consapevolezza che la comunicazione della fede oggi avviene nel momento in cui sappiamo testimoniarla nell’umiltà delle nostre vite e dei nostri gesti qualcosa che solleciti anche curiosità negli altri e un’apertura a uno spirito rinnovato. Questa forza attrattiva deve diventare un movimento di sequela di Gesù.
Vorrei ricordare lo sguardo che in questi giorni si è posato sulla Sacra Spina. Qualche mese fa abbiamo iniziato a preparare con il parroco e poi via via con altri questo momento, non sapendo se il segno ci sarebbe stato concesso oppure no dalla bontà divina. Questo segno è affidato allo sguardo, per di più essendo la spina così sottile, a uno sguardo particolare, non solo degli occhi ma di tutta la persona, del cuore, dell’intelligenza e della fede. Devo ringraziare la commissione per il servizio che ha svolto, che è stato proprio il servizio dello sguardo. Lo hanno rivolto sulla spina con un mandato particolare. Ringrazio il vicario generale che l’ha presieduta e tutti i suoi componenti. È lo sguardo di Tommaso che dice agli altri “Se io non vedo, se non tocco, non credo”. E quando il Signore gli si mostra cosa gli dice? “Metti le tue mani nelle mie piaghe”. Anche questo richiama il segno della spina: anche noi abbiamo bisogno di vedere per credere e di credere per vedere. Significa che abbiamo riconosciuto il segno ma anche che lo sguardo che ha riconosciuto questo segno della Sacra Spina deve continuamente allertarsi per riconoscere gli infiniti segni che il Signore ci concede nel corso della nostra vita e che si manifestano in modo impressionante e a volte ci sembra essere oscurato da uno sguardo che si perde in altre direzioni oppure viene allettato da altre immagini. Sono segni a volte anche connotati dal dolore, ma di un dolore trasformato dall’amore. È necessario che noi stessi mostriamo al mondo la forza dell’amore di Dio, che anche attraverso la sofferenza diventa incredibile per l’uomo; diventiamo come una spina che fiorisce.