L’attesa di un’insegnante precaria: poche cattedre, la responsabilità delle scelte, l’impegno di rimettersi in gioco ogni volta

Non vi è mai capitato di incontrare un collega al bar, al supermercato o sulla pista ciclabile e di parlare quasi esclusivamente di lavoro? In questi giorni io parlo di scuola anche col frigorifero di casa.

Sono insegnate da undici anni e immancabilmente il mese di settembre porta con sé dubbi, speranze e un vortice di emozioni. È anzitutto il mese dell’attesa, per chi come me è supplente. Attendo una telefonata o una mail da parte di un istituto scolastico che mi proponga una supplenza, ma nel frattempo attendo soprattutto che ex colleghi, alcune bidelle più curiose e qualche genitore superinformato mi dia un’anteprima delle probabili cattedre a disposizione. Attendo che chi è prima di me in graduatoria accetti o rifiuti una nomina e cerco, quando ho la fortuna di poter conoscere gli altri supplenti, di condividere le scelte per avere un quadro più chiaro possibile delle scuole libere.

Quest’anno sono state aggiornate le graduatorie e mi ritrovo tra i primi posti negli istituti della mia zona. I sacrifici fatti, anche mentre frequentavo l’università, di accettare qualsiasi nomina e spesso in sedi un po’ sperdute della provincia, hanno dato ora i loro frutti e ne sono contenta. Mi ritrovo però con un carattere un po’ troppo sensibile e quindi nemmeno essere in pole position nella graduatoria mi fa stare serena: dopo di me nell’elenco, infatti, c’è un amico e sapere che il suo anno scolastico dipenda in gran parte dalle mie scelte è per me un peso. L’ho confidato anche a lui che mi ha detto di stare serena, ma essere insegnante è anche questo: dover decidere in un giorno (sono 24 le ore a disposizione per accettare una nomina) il tuo anno lavorativo tra le poche cattedre disponibili.

Fare il prof non è solo una fortuna come farnetica qualcuno con un “Beati voi insegnati che lavorate solo di mattina, che state in ferie tutta l’estate” e luoghi comuni vari. In questi anni ho trovato anche classi difficili e colleghi non sempre disposti a collaborare, per esempio. Per sei anni ho avuto la fortuna di lavorare nella stessa sede mentre per  quattro ho cambiato scuola e settembre è quindi anche un mese per ambientarsi, per conoscere i ritmi e le priorità dell’istituto, per mettere il naso nei nuovi libri (scelti dai colleghi dell’anno precedente) e soprattutto per conoscere tutti i nuovi alunni. È anche il mese in cui i ragazzi ti studiano, nel vero senso della parola: ti osservano, ti riempiono di domande e cercano di capire se sei “il supplente che va” o “quello che resta tutto l’anno”. Sì, perché tutta questa ansia di settembre potrebbe ritornare a novembre quando ci sono le nomine fino alla fine dell’anno scolastico e capita che qualcuno prima di te in graduatoria scelga quella cattedra e tu la debba abbandonare, oppure ti venga offerto un posto migliore (semplicemente perché vicino a casa) e tu debba decide se restare lì o dover ricominciare tutto da capo in una nuova scuola.

La mia vicina di casa è insegnante nella scuola dell’infanzia. Anche lei supplente, ma ogni ordine di scuola ha una metodologia diversa di assegnazione del servizio: lei a fine settimana andrà al Provveditorato degli studi di Bergamo con tutte le maestre dell’ambito e in base all’ordine in graduatoria sceglierà la scuola dove lavorerà quest’anno. Mi ha detto che è molto in ansia. Lei è solo all’asilo, immaginate me che devo “andare” alle superiori…

Sereno anno scolastico a tutti i colleghi!