Un sistema dei partiti obsoleto

Il sistema dei partiti in Italia ha perduto una quantità notevole di legittimazione e di iscritti, ma ha conservato per intero i poteri che vengono riconosciuti dalla Costituzione, elaborata dai partiti medesimi: sceglie i candidati al Parlamento, il Governo, il Presidente della repubblica, i Consigli regionali e comunali, 5 dei 15 giudici della Corte costituzionale, 8 dei 24 componenti del Consiglio superiore della magistratura, il Governatore della Banca d’Italia (mediante indicazione di una terna al Presidente della Repubblica), i Consigli di Amministrazione di decine di migliaia di società partecipate regionali e comunali, le posizioni apicali dei Ministeri, i capi dell’Esercito, dei Carabinieri, della Polizia ecc… ecc…. In un parola: i partiti sono “parti” che controllano “l’intero”, cioé le istituzioni. Pertanto essi costituiscono la struttura intima della macrofisica e della microfisica del potere in Italia. Nelle vene delle istituzioni il sangue è pompato dal sistema dei partiti.

Tuttavia, nonostante l’onnipotenza pubblica, giuridicamente i partiti continuano ad essere associazioni private. Ogni tentativo di sottoporli a controllo pubblico mediante la legge, a partire dall’attuazione dell’art. 49 della Costituzione, è finora fallito. Il che equivale a dire che le istituzioni di tutti sono giuridicamente privatizzate.

Le cause storiche sono state tematizzate da molti molte volte. Si possono brevemente richiamare: il sistema dei partiti, consociato nel CLN, ha consentito la ricostruzione dello Stato e della Nazione, dopo l’8 settembre 1943. La corrispondenza biunivoca Stato-partito unico, già potentemente rafforzata dal regime fascista, fu resa ancor più pervasiva tra Stato-sistema unico. La ragione era “la salvezza della patria”. Con questa ragione nazionale si è incrociata la storia mondiale del dopoguerra, nella forma di antitesi radicali: Ovest-Est, cioè, in Italia, democrazia-comunismo. Così, tanto durante gli anni della contrapposizione più dura quanto negli anni della consociazione tra opposti, la presa privata sulle istituzioni si è fatta pervasiva. Il suo carattere privato ha reso la funzione-Governo sempre più debole e impotente ed ha imposto con forza esplosiva due questioni: quella della natura democratica dei partiti e quella del loro finanziamento.

Democrazia diretta, avvenire di un’illusione

È di qui che nasce, già all’inizio degli anni ’80, la contestazione radicale dei partiti quali virus che infettano la società e la politica, fino ad approdare in questi anni 2000 alla proposta di “democrazia diretta” del M5S. Essa chiede l’abolizione della rappresentanza partitico-parlamentare e la relazione diretta tra il cittadino-elettore e il governo algoritmico del Paese. La formazione di maggioranze/minoranze avviene nelle viscere oscure della Rete: il fiume di bit che ne esce è la somma di tutti gli impulsi elettronici che ogni elettore manda in tempo reale. Si tratta del plebiscito quotidiano, che stava secondo Ernest Renan alla base di una nazione, finalmente realizzato da una macchina a logica binaria: Sì/No, che non prevede dubbi, sfumature, incertezze.

La critica del parlamentarismo e la denuncia della politica come corruzione appartengono alla storia ideologica dell’Italia unitaria, già a partire dal Partito d’Azione di Garibaldi, Mazzini e Pisacane per salire su lungo gli anni fino alla violenta contestazione del giolittismo ad opera del nazionalismo e del fascismo. E riemerge carsicamente con l’Uomo qualunque nel secondo dopoguerra per essere riassorbito rapidamente dal sistema dei partiti. L’illusione alimentata principalmente dal Corriere della Sera, da LA7, da Bersani, da Rai TRE, versione Bianca Berlinguer, è che anche questa volta il qualunquismo-populismo sarà riassorbito dal sistema dei partiti e dalle istituzioni che essi hanno configurato. Di più: sarà la scopa provvidenziale che ne spazzerà via la polvere, il lavacro nel fiume Giordano che lo ribattezzerà.

Si tratta di una postura ostinatamente conservatrice: il sistema tiene, basta cambiare gli uomini. No, dopo settant’anni il sistema dei partiti non tiene più. Per troppe ragioni a tutti note da tempo, che hanno reso ormai insopportabili tanto il patronage dei partiti sulla società, sugli individui, sulle istituzioni pubbliche quanto l’ostinato rifiuto di sottoporsi alla regolamentazione pubblica. Il M5S ha colto questo profondo spirito del tempo, fondando un partito-antipartiti, anch’esso contraddittoriamente iper-privatizzato.

Un nuovo potere degli elettori: scegliere il governo

C’è una via d’uscita? Prima che nel cambiamento degli uomini o nell’elaborazione di nuove culture politiche, essa consiste in due passi decisivi: uno avanti degli elettori, uno indietro dei partiti rispetto alle istituzioni, con annessa loro regolamentazione pubblica. È ormai dimostrato che le riforme del sistema elettorale sono soltanto dei “passi di lato”: il Mattarellum e, in successione a degradare, il Porcellum e, da ultimo, il Rosatellum ci hanno portato verso il prossimo non-governo.

Occorre una riforma costituzionale: togliere ai partiti il potere di scegliere il governo per consegnarlo agli elettori. La funzione storica di mediazione culturale e educativa dei partiti non viene meno: a loro tocca alimentare il dibattito pubblico, formare la classe dirigente, proporre le candidature agli elettori. Ai quali basteranno due schede: una per eleggere il proprio rappresentante in Parlamento, una per eleggere direttamente il Presidente della repubblica. Insomma: una terza via tra un sistema partitico obsoleto e un’improbabile democrazia diretta. È tutt’altro che salomonica. Per i partiti è dolorosa: perché ne riduce il potere e perché corre il rischio di affidarsi ad un elettorato esigente, spesso volubile, ma più informato, istruito e intelligente di quanto la classe politica immagina che sia.