Ol poéta l’è ü che l’fà a parì (Il poeta è un fingitore). Come risuona Pessoa in bergamasco

Ol poéta l’è ü che l’fà a parì. (Il poeta è un fingitore). Fernando Pessoa è il poeta che ha scritto le due brevi poesie tradotte nella mia lingua prima di questa settimana. Pessoa è contemporaneamente uno e una moltitudine.

Ho sentito bussare con forza (sobàt dür), di una piccola violenza affascinata, alla mia lingua prima, La mórt l’è la cürva de ’l stradù, una notte che, peregrinando animula blandula vagula (Adriano) ai confini del mio paese sono sbucato d’improvviso sulla provinciale (ol stradù) prima delle curve del ponte di Cene;  era l’urlo di una ambölansa in arrivo che trapanava la notte. L’avevo letta, questa poesia, anni prima, quando Pessoa era per me solo una estensione di Tabucchi; l’avevo letta in lingua ovviamente, ma non l’avevo com-presa. E’ stato lì che il  primo verso mi è saltato addosso d’improvviso, in dialetto…..

La mórt l’è la cürva de l’stradù. di F. Pessoa. Letta da Fèro, tradotta in dialetto bergamasco da M. Noris

 

La mórt l’è la cürva de l’stradù

La mórt l’è la curva de ’l stradù,
mör l’è adoma ès mia ést.
Se sculte, sènte i tò pass
ch’i stà al mónd compàgn che mé stó al mónd.
La tèra l’è facia de cél.
La futa la gh’à mia ’l nì.
Mai nessù a l’s’è perdìt.
Töt l’è erità e senterì.

A morte é a curva da estrada 

A morte é a curva da estrada 
Morrer é só não ser visto.
Se escuto, eu te oiço a passada
Existir como eu existo.
A terra é feita de céu.
A mentira não tem ninho.
Nunca ninguém se perdeu.
Tudo é verdade e caminho.

 

La morte è la curva della strada. La morte è la curva della strada / morire è solo non essere visto. / Se ascolto, sento i tuoi passi / esistere come io esisto. / La terra è fatta di cielo. / Non ha nido la menzogna. / Mai nessuno s’è smarrito. / Tutto è verità e passaggio.

La seconda poesia, Autopsicografia, è una traduzione “di rappresentanza”,  sia nel contenuto – ol poéta l’è ü che l’fà a parì – che nel particulare della ragion di traduzione.

Fernando António Nogueira Pessoa nasce a Lisbona nel 1888 e lì muore nel 1935; è stato poeta, scrittore e aforista. È considerato uno dei maggiori poeti di lingua portoghese, e per il suo valore il critico letterario Harold Bloom lo definì, accanto a Pablo Neruda, il poeta più rappresentativo del XX secolo.

Dell’Apa, alcuni anni fa così lo tratteggia: “Dalla lettura del suo straordinario opus poetico si delinea una personalità complessa resa particolare dalla fervida fantasia nel creare intorno a sé un mondo fittizio e nel cogliere con ansia la realtà come si presenta con il suo peso esistenziale. Qualche critico si chiede se mai il poeta abbia manifestato in toto il suo “io” reale oppure tutto sia il frutto della sua creatività. Nel trattare temi che riguardano la sua persona e nell’usare l’eteronomia Pessoa diviene enigmatico tanto che il poeta Frederico Barbosa con un gioco di parole, pessoa in portoghese significa “persona”, lo definisce “l’enigma in persona.” Non firmò mai con il suo nome ma inventò gli eteronomi che usò nella sua vita. Essi non sono pseudonimi ma personalità poetiche autentiche e complete. In una lettera a Adolfo Casais Monteiro del 13 gennaio del 1935 rivela l’origine degli eteronomi: “Ricordo quello che mi sembra sia stato il mio primo eteronomo o, meglio, il primo conoscente inesistente: un certo Chevalier de Pas di quando avevo 6 anni, attraverso il quale scrivevo lettere a me stesso, e la cui figura, non del tutto vaga, ancora colpisce quella parte del mio affetto che confina con la nostalgia.” Chiarisce ancora questa sua disposizione: “Fin da bambino ho avuto la tendenza a creare intorno a me un mondo fittizio, a circondarmi di amici e conoscenti che non erano mai esistiti.”

I tre eteronimi più noti sono: Alvaro de Campos, Ricardo Reis, Alberto Caeiro che rappresentano la sua produzione letteraria quasi intera. Tra gli eteronomi bisogna annoverare Fernando Pessoa che si deve considerare ortonimo e pare più simile agli altri e quindi non si può identificare con l’uomo Pessoa. I tre hanno una data di nascita e di morte, tranne questa ultima di Ricardo Reis. Scrive Pessoa “Ho messo in Caeiro tutta la mia forza di spersonalizzazione drammatica, ho messo in Ricardo Reis tutta la mia disciplina mentale, vestita della musica che le è propria, ho messo in Alvaro de Campos tutta l’emozione che non ho dato né a me né alla mia vita.”

Pessoa dà l’idea di una personalità meravigliosamente e tragicamente sola.

L’affascinante maschera delle personalità letterarie, dei diversi sé che veste e in cui si avvolge,  parte dall’assioma: “Il poeta è un fingitore./ Finge così completamente / che arriva a fingere che è dolore / il dolore che davvero sente.” La sua poesia prende forma dalle sensazioni, dalla solitudine, dalla tristezza che danno forza all’immaginazione in sintonia perfetta con Alberto Caeiro: “Non ho ambizioni o desideri /. Essere poeta non è una ambizione mia. / E’ la maniera di essere solo”. Attraverso gli eteronomi Pessoa con una metodica lucida riflette profondamente sui rapporti reali tra verità, esistenza, identità. E’ su questo aspetto che si è venuto a creare un’aura di mistero che lo circonda, tanto da fare dire a Octavio Paz, poeta messicano premio Nobel: “Il poeta non ha biografia: la sua opera è la sua biografia.”

E’ singolare e c’ha il suo perché,  per me che attendo le parole della mia lingua prima, la ri-scoperta del termine fà a parì (fingere: Lat. plasmare, simulare). In questa espressione  vi è, irresistibile, il richiamo-risonanza al far apparire…. Certo, in dialetto il  termine apparire si dice comparì, ma fà a parì è parola d’anima che si innamora follemente del poéta Pessòa, doppio, triplo, moltitudine, che plasma e crea fingendo, che l’fà a parì poeséa.

Che tipo ol Pessòa!

Psicograféa per sò cönt di F. Pessoa. Tradotta in dialetto bergamasco da M. Noris

Psicograféa per sò cönt

Ol poéta l’è ü che l’fà a parì.
A l’fà a parì issé del töt
ca l’rìa a fà a parì ca l’è dulùr
ol dulùr che delbù a l’sènt.

E töcc chi ca i lèss chèl che l’iscrìv,
n’del dulùr lesìt i sènt benóne,
mia i du che lü l’à sentìt,
ma adóma chèl che l’è mia l’sò.

E issé sö i binare in tónd
a l’gira, a dagla ùcia a la resù,
chèl  trenì a ’ncàrega
che l’se ciama cör.

Autopsicografia

O poeta é um fingidor.
Finge tão completamente
Que chega a fingir que é dor
A dor que deveras sente.

E os que lêem o que escreve,
Na dor lida sentem bem,
Não as duas que ele teve,
Mas só a que eles não têm.

E assim nas calhas de roda
Gira, a entreter a razão,
Esse comboio de corda
Que se chama o coração.

 

Autopsicografia. Il poeta è un fingitore. / Finge così completamente / che arriva a fingere che è dolore / il dolore che davvero sente. // E quelli che leggono ciò che scrive / nel dolore letto sentono bene / non i due che lui ha sentito / ma solo quello che non gli appartiene. // E così sui binari in tondo / gira / a lusingare la ragione, / quel trenino a carica / che si chiama cuore.