Preti sposati: pericolo o possibilità?

Nel prossimo mese di ottobre, che inizierà tra pochi giorni, si celebrerà a Roma il Sinodo sull’Amazzonia: il Papa, insieme ai Vescovi nominati per quella regione e altri membri dei diversi episcopati e dei dicasteri della curia romana, si troveranno per prendere in esame la situazione di quelle terre immense, approfondendo i problemi presenti e cercando soluzioni possibili per la Chiesa di quel territorio.

Mancano i preti. Si pensa a preti sposati

Uno dei problemi maggiori, in Amazzonia, spesso sollevato con dolore e preoccupazione dai vescovi brasiliani, è la carenza di clero, tale che molti villaggi (che distano centinaia di chilometri l’uno dall’altro) per molti mesi non hanno possibilità di avere un prete per la celebrazione dell’eucarestia. In alcune comunità la Messa viene celebrata una volta all’anno, col rischio che neppure quella volta sia più possibile in un futuro non troppo lontano.

I vescovi stessi hanno avanzato proposte, tra le quali quella che, in modo generico e un po’ fuorviante, molta della nostra gente chiama “dei preti sposati”.

Vale qui la pena chiarire come stanno le cose. Innanzitutto, per “preti sposati” non si intende che vi sia allo studio la possibilità che un sacerdote possa contrarre matrimonio: almeno per ora, questa non rientra tra le ipotesi teologiche in gioco, anche perché il problema non si colloca qui! La questione riguarda invece la possibilità che un uomo sposato possa accedere agli ordini sacri, garantendo così la celebrazione dei sacramenti per i fedeli delle comunità cristiane.

È necessario ricordare che questo è quanto già accade per la Chiesa Cattolica di rito orientale, dove normalmente possono accedere al ministero ordinato uomini sposati: si tratterebbe dunque di estendere quella scelta anche alla Chiesa di rito latino, soprattutto per quelle zone dove la scarsità di clero sta divenendo drammatica (anche alcune zone dell’Europa sono in difficoltà, su questo).

Sarei favorevole alla proposta

Ora, qualche riflessione. Personalmente, sarei favorevole a questa soluzione. Lo dico dopo averci riflettuto seriamente, non in base a una semplice simpatia per un’idea. Credo fortemente che la presenza, anche nei nostri presbiteri, di preti con famiglia, arricchirebbe molto il presbiterio stesso: la loro esperienza personale costituirebbe per noi preti che abbiamo scelto la vita celibataria una provocazione e un invito costante a conoscere meglio, comprendendola di più, la vita della nostra gente. Questa possibilità, credo, nulla toglie al valore, teologico prima che pratico (pure fondamentale: un prete con famiglia avrebbe meno tempo da dedicare al ministero pastorale), del celibato sacerdotale che, come anche papa Francesco ha recentemente ribadito, è un grande dono per la Chiesa e va vissuto come tale dai suoi sacerdoti.

Certamente, l’aprirsi della discussione sui “preti uxorati” sta destando diversi pareri nella Chiesa. Giustamente si ragiona sulle qualità che queste persone dovrebbero avere, sull’opportunità di scegliere gente che, oltre a una fede provata, abbia anche un’età abbastanza elevata, per diverse ragioni.

Si confonde la norma con il dogma. Capita anche a qualche cardinale

Mi stupisce, sinceramente, la ferma opposizione manifestata a riguardo da alcuni cardinali, appartenenti al “fronte tradizionalista” e notoriamente avversi al pontificato di papa Francesco, che, in una lettera al collegio cardinalizio, parlano della possibilità di ordinazione di uomini sposati come una minaccia, paragonando questa possibilità alle eresie che vennero combattute nei primi secoli mediante i concili e la proclamazione dei dogmi cristologici.

Mi sembra che questi prelati, seppur docenti e illustri studiosi, incorrano in un errore grave a livello teologico: confondono la norma con il dogma. Il celibato dei preti è una norma della Chiesa latina, ma non certamente un dogma! Inoltre, mi sorge questa domanda, alla quale mi piacerebbe rispondessero: se davvero vi sta a cuore, come affermate, la fede della Chiesa, come potete accettare che, per non cambiare una norma, intere popolazioni vengano private della possibilità di partecipare alla celebrazione dell’Eucarestia? Non è forse più vero che c’è la Chiesa dove l’Eucarestia viene celebrata e vissuta?