I nove diaconi e il calo delle vocazioni. Suor Chiara: molti hanno paura di dire “per sempre”

Buongiorno suor Chiara
Nei giorni scorsi in Seminario il vescovo di Bergamo ha ordinato nove diaconi: un bel segno di speranza ma anche un’eccezione, perché negli ultimi anni sia i diaconi sia i sacerdoti novelli si contano sulle dita di una mano. Come mai secondo lei nella Chiesa non ci sono più vocazioni? Non preghiamo abbastanza? I ragazzi non ascoltano la “chiamata” perché distratti da altro? Grazie mille.
Anna

Cara Anna, siamo molto grati al Signore per il dono dei nove diaconi alla nostra Chiesa di Bergamo e a tutta la Chiesa.

Sono un piccolo segno di speranza che ci interpella, in questo tempo segnato dalla diminuzione vocazionale.

Su questo tema il dibattito è molto acceso negli Istituti di vita consacrata, nei seminari, nelle parrocchie, in tutta la Chiesa.

Certamente il calo demografico può essere una causa poiché nascono meno figli e le famiglie non sono più numerose come un tempo. Forse però il problema serio che ci deve interrogare è la crisi di fede che il nostro paese sta attraversando, una fede debole che si manifesta nella mancanza di fiducia nella vita, nel futuro, in un “per sempre” che spaventa.

Basta vedere la fragilità e la poca perseveranza nei matrimoni e nella vita consacrata: sono diminuiti, infatti, i matrimoni cristiani perché si sceglie la forma della convivenza o non si sceglie nulla, e sono in aumento gli abbandoni dei consacrati, forse per la fatica ad assumere impegni stabili che durino nel tempo.

La crisi sociale, l’incertezza, il consumismo

La crisi sociale che stiamo attraversando, l’incertezza, il consumismo e il bisogno di autorealizzazione e di autonomia, non aiutano certamente a porsi delle domande esistenziali e profonde.

I giovani sono oggetto di consumo, bombardati da tanti stimoli ma non aiutati a entrare nella propria interiorità per ascoltare i grandi desideri del cuore, per realizzare i sogni che parlano di felicità.

La società afferma una visione secolarizzata dell’esistenza dove Dio è come se non ci fosse e la religione è relegata solo nella sfera personale.

La Chiesa, forse, non è più così ostacolata, è apprezzata nel suo servizio ai poveri, nel suo impegno nel sociale, ma non è più vista come sorgiva di un’esperienza comunitaria di vita credente: questo si ripercuote anche nell’indebolimento nell’appartenenza ecclesiale. 

Cosa può rendere le comunità generative

La domanda che possiamo porci è se anche le nostre comunità cristiane sono generative di vita, di vocazione, della vocazione all’amore che tutti ci riguarda. Abbiamo ancora il coraggio di pregare per le vocazioni, di far crescere quei semi di vocazione nei ragazzi e nelle ragazze o anche noi crediamo che non sia ancora possibile una vita a servizio totale del Regno, in una forma di consacrazione perché cosa di altri tempi?

Forse viene a mancare la “cultura della vocazione”, l’individuazione e progettazione di cammini di ricerca da proporre ai giovani; sembra venir meno il coraggio di porre domande, di accompagnargli in itinerari che possano far emergere una chiamata particolare e la scoperta di essere oggetto di un amore grande, divino.

In ciascuna persona il Signore ha posto un seme di eternità, una parola pronunciata solo per lui o per lei che chiede una risposta.

A ciascuna persona il Signore dona una vocazione, suscita un desiderio che lo trascende al quale rispondere per vivere in pienezza e avere vita in abbondanza. Se la vita non è in questa dimensione vocazionale perde di slancio e si sfilaccia, amalgamandosi alla mentalità corrente.

Servono guide che accompagnino i giovani

La scrittura e la storia della Chiesa ci indicano la necessità di guide che accompagnino i giovani su questi sentieri, che li aiutino a decifrare i linguaggi della chiamata, perché non è possibile percorrere la strada da soli.

Sono uomini o donne che già conoscano le vie del Signore perché per primi le hanno percorse, fratelli e sorelle capaci di discernimento, credibili e affidabili che testimonino la bellezza dell’incontro con il Signore che li ha affascinati.

Cara Anna, questo tempo può essere difficile anche nell’ambito vocazionale, ma non dimentichiamoci che può essere anche un tempo di grazia, un Kàiros, per ripensare modalità o forme che hanno bisogno di ritrovare una nuova generatività e fecondità per la vita della Chiesa e del mondo.

A noi farci sempre più collaboratori nell’ascolto dei segni dei tempi, nella ricerca di una nuova immaginazione che realizzi, anche oggi, il sogno di Dio.

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