«L’arrivo del Papa a Sarajevo non può cambiare il corso della storia di questa città e della Bosnia Erzegovina post-bellica, segnato da una stagnazione politica ormai di lungo corso, dalla carenza di prospettive economiche (la disoccupazione è altissima) e di leadership politiche lungimiranti. Però, appunto, i simboli possono avere una loro importanza. Scuotere qualche coscienza, accendere qualche idea. Vedremo». Così afferma Matteo Tacconi, giornalista e scrittore, che segue da anni la situazione politica nei Balcani, nell’Europa centrale e nell’area post-sovietica. Il curatore di Rassegna Est (portale di notizie sull’Europa Emergente), analizza il prossimo viaggio apostolico di Papa Francesco a Sarajevo che avverrà il prossimo 6 giugno, teatro nel recente passato di una guerra sanguinosa, unica città al mondo dove esistono quattro luoghi di preghiera: uno musulmano, due cristiani e uno ebraico. «Le visite in Albania e Turchia dimostrano una sensibilità del Papa verso l’area balcanico-mediterranea, crocevia di frizioni, incomprensioni, ma anche risorsa di dialogo. L’arrivo a Sarajevo si inserisce in questo solco. Questi tre paesi, a prescindere dai nodi della storia e dagli alti e bassi, dimostrano nonostante tutto una tenuta, in termini di tolleranze e coesistenza. L’Albania si può ritenere un modello virtuoso, in questo senso. La Turchia, sotto la scorza della retorica musulmana di Erdogan, ha restituito i beni confiscati alle chiese. La Bosnia Erzegovina ha una comunità cattolica importante e rispettata. Nonché molto influente: ben più di quanto non si possa credere», puntualizza Tacconi, classe 1978, perugino.
Una nuova tappa del Santo Padre verso un’altra periferia del mondo, nella capitale della Bosnia ed Erzegovina, “città martire”, protagonista del più lungo assedio della storia contemporanea da parte delle truppe serbe. Che cosa ne pensa?
«Penso – almeno mi auguro – che Francesco abbia in mente un viaggio che ricordi sì il trauma di Sarajevo ma che non ponga troppa enfasi su di esso. L’assedio non dovrà essere dimenticato, ma Sarajevo non può vivere di sola memoria. Né credo lo voglia».
Aprile 1992 – novembre 1995. Tre anni che hanno visto sprofondare l’Europa nell’incubo della guerra in Bosnia ed Erzegovina per nazionalismi esasperati, con massacri atroci. In questo contesto e pensando a quello che sta accadendo in altre parti del mondo, quanto è importante il dialogo interreligioso tanto invocato dal Santo Padre, il quale è convinto che il futuro dell’umanità “sta nella convivenza rispettosa delle diversità”?
«Parole sacrosante, quelle del Pontefice. Sarà interessante vedere se, quando si rapporterà al passato tragico di Sarajevo e dell’intera Bosnia Erzegovina, aprirà anche una parentesi sulle responsabilità dei croato-bosniaci, che con la sponda di Zagabria si accordarono con i serbo-bosniaci, a loro volta spalleggiati da Belgrado, allo scopo di spartirsi il Paese. Sarebbe un gesto molto importante, apprezzabile. Ma, come detto prima, penso che Bergoglio, anche giustamente, non abbia intenzione di concentrarsi troppo sul passato».
Il viaggio di Bergoglio sarà anche l’occasione per un esame di coscienza dell’Unione Europea che deve domandarsi se ha fatto abbastanza per questo popolo così provato?
«Non saprei. Certo è che se è vero che l’Europa poteva fare di più per la Bosnia, è altrettanto indiscutibile che i bosniaci potevano mostrarsi quanto meno più interessati a una seria integrazione nello spazio europeo. Invece sono anni che la classe dirigente sabota ogni riforma e condanna la popolazione, anch’essa non immune da responsabilità, alla stagnazione».
Segue da anni l’area balcanica, qual è in questo periodo la situazione politica in quell’area geografica? «Dopo una fase di notevoli progressi, tanto nel dialogo regionale, quanto nella prospettiva di integrazione comunitaria, stanno emergendo nodi critici. La Macedonia è reduce da scontri armati al confine con il Kosovo, con diverse vittime. L’Albania, dipinta come il paese del “miracolo economico”, è attraversata da numerosi episodi di violenza dinamitarda. Il Kosovo, periodicamente, torna ostaggio dei contrasti tra serbi e albanesi. Se l’Europa non rimette un po’ di benzina nel motore dei Balcani, c’è il rischio di assistere a crescenti tensioni. Logicamente anche i Balcani devono fare la loro parte».
“Le tensioni che possono crearsi fra gli individui e le etnie come eredità del passato e come conseguenza della vicinanza e della diversità devono trovare nei valori della religione motivi di moderazione e di freno, anzi di intesa in vista di una costruttiva cooperazione”. Furono queste le parole di San Giovanni Paolo II pronunciate durante lo storico viaggio del Pontefice polacco a Sarajevo nell’aprile del ‘97. Oggi possiamo chiederci se questo in realtà è accaduto?
«Purtroppo no. La Bosnia post-bellica è stata contraddistinta da un processo di “omogeneizzazione”, in base al quale i tre popoli principali, musulmani, serbi e croati, hanno “bonificato” le rispettive aree di influenza geografica, forgiando un’identità nazionale e culturale fondata sulla diversità quasi assoluta nei confronti dell’altro. In tutto questo le fedi hanno avuto una loro funzione, risultando a volte troppo organiche al potere. Un processo poco edificante, insomma. Per quanto poi è anche vero che, visto quello che c’è stato, la tendenza all’amalgama, alla promiscuità culturale, non può avere tassi così elevati».
“Ci sono minacce terroristiche contro il Papa per la sua visita a Sarajevo”. Con queste parole Dragan Lukac, Ministro dell’interno della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina in un’intervista ha messo in guardia da possibili attacchi al Pontefice, denunciando l’alta presenza di estremisti islamici in Bosnia. L’allarme lanciato da Lukac è attendibile?
«Un po’ diffiderei. Di recente le autorità serbo-bosniache sono molto impegnate a sottolineare le derive radicali tra i musulmani di Bosnia, con riferimento all’arruolamento nell’Isis di alcuni miliziani islamisti. Questo evocare lo spettro di un attentato terroristico può rientrare in questo schema. E sa un po’ di malafede».
Nella foto (Sir): La biblioteca di Sarajevo