Quell’anima rock

Ma cos’è la musica? Metti un pomeriggio un po’ speciale in università, invitati dal Centro Sant’Andrea e dalla Fuci: in cattedra, lunedì scorso, a girare intorno al tema c’erano il vescovo Beschi e il «professor rock», ovvero Omar Pedrini, musicista (e tante altre cose artistiche) bresciano che da qualche anno insegna «Comunicazione musicale» in Cattolica a Milano: corsi affollati, pieni di ragazzi curiosi.
Sotto il palco gli allievi dell’Istituto Donizetti (Michela Podera, Davide D’Agostino, Camilla Di Pilato) che hanno iniziato la serata tra flauto, oboe e fagotto sulle note di Georg Philipp Telemann, in modo soave. Da qui in avanti però il faccia a faccia tra «il diavolo e l’acqua santa» – come li ha definiti qualcuno entrando – ha toni molto soft, cordiali, ma nel contenuto è rock.
A tema c’è la musica come strumento di conoscenza dell’uomo. Ugo Bacci, moderatore, ricorda che monsignor Beschi non solo è diplomato in violino ma viene da una famiglia ”tutta musicale”. Anche Omar Pedrini però non scherza: «Il mio bisnonno – racconta – era un liutaio di Verona, faceva i mandolini. La nonna era una delle poche donne che alla sua epoca suonasse la chitarra». In famiglia a cinque anni ai bambini veniva regalato uno strumento: «Io vengo da una famiglia povera, di operai di un cotonificio sul Lago di Garda, ma lo spazio per la musica in casa c’è sempre stato. A me la nonna regalò una chitarra dicendomi: “Con la musica non sarai mai solo”. E così è stato».

«LA MUSICA MI HA SALVATO»

Pedrini presenta se stesso ragazzo come un lettore di Baudelaire, affascinato da quelle sue «notti alcoliche, fatte di assenzio, di droga. Anch’io sono un peccatore, un uomo che è più uso a farsi delle domande che a darsi delle risposte». Crescendo è diventato un autore di musica «popolare, quella che entra nel cuore di tante persone». Eppure, suonando e cantando sopra quella chitarra, a partire dagli anni dei Timoria, con Francesco Renga, ha capito che quelle strane «vibrazioni di particelle» che uscivano dalla cassa armonica sotto le sue mani sono capaci di creare strane assonanze, che manifestano affinità profonde: «Il do e il mi – dice Pedrini – sono due note che stanno bene vicine, sono come l’uomo vicino alla donna, il pennello vicino alla tela». Sono strumenti che, se uno li sa usare, possono «emozionare e scalfire, come l’amore, anche l’anima più dura. Sant’Agostino diceva che la musica è sempre un canto verso Dio, e io questo l’ho sempre pensato: è un modo di dialogare con l’Assoluto. Credo che anche a me, come al regista Wim Wenders, il rock abbia salvato la vita.  Dandomi una straordinaria forza, un’emozione» vitale.
È il vescovo Francesco allora a riportare («chiedo scusa») la riflessione su un piano «molto materialista. La musica è un fenomeno concreto. Se io oggi al violino ottengo solo suoni strazianti è perché ho una mano che non va più perché non l’ho più allenata». Uno come Mozart, a cui «la musica veniva fuori dalle mani, diceva che essa è molto più lavoro e fatica che ispirazione». Certo questa materia fatta di «onde sonore, frequenze, vibrazioni…» in qualche modo «non è materia»: «Se al museo spegni la luce il quadro di Raffaello resta lì. La musica appena si finisce di eseguirla non c’è più».

«L’ASCOLTO È DECISIVO»

È ancora monsignor Beschi a ricordare «il piacere» di fare musica: «Non finiresti mai. Perché ti prende un po’ la vita…». La sua funzione all’interno dell’educazione della persona intera: «Nella musica – dice il vescovo – è decisivo l’ascolto. È fatta perché qualcuno ascolti, fossi pure solo tu stesso. Una cosa che mi ha lasciato la musica è questa capacità di ascoltare: le persone, le loro parole, il loro cuore». È un’eredità che ci si passa di generazione in generazione, come un bene «prezioso».
Per il vescovo la musica è un pezzo di vita abbandonato ormai («io sono un ex totale») ma si sente che è stata un’esperienza importante: «C’è stato un tempo in cui la musica occupava tutta la mia vita. Io ho studiato molto più le note musicali che le note teologiche. Il fatto è che non riesco a far musica facendo dell’altro. Per questo ho smesso di suonare. Oggi non ho nessun rimpianto: a un certo punto ho trovato qualcosa di più grande ancora della musica. Devo dire, però, che la musica mi ha lasciato molto. Suonare insieme crea un’unità capace di far accadere qualcosa che prima non c’era: la musica è sempre un evento, quacosa che avviene adesso».
Omar Pedrini lo ascolta stupito di trovare in un uomo di Chiesa una sensibilità così per i suo «mestiere inutile» – come cantava a Sanremo: «Sentite che musicalità c’è nel tono di voce del vescovo Francesco, baritonale, profondo» dice ai ragazzi del pubblico. «Il ritmo: sono cose rimaste anche se lei non suona più, eccellenza».
Poi racconta che la vita anche a lui dieci anni fa stava per buttarlo fuori all’improvviso da questo mondo incantato delle note: una crisi cardiaca lo ha mandato in coma per due giorni; lo hanno riacciuffato per pochi minuti: «In un momento così difficile mi sono trovato, a 34 anni, ad affidarmi a quella di cui poi sono diventato devoto: a Maria. Ora mi è nata da poco una bambina, Emma Daria, che mi ha mandato il Cielo, e ho sentito subito il desiderio di battezzarla. Ho scritto per lei un’Ave Maria che ho eseguito solo in chiesa finora. Forse questa canzone spiega meglio di tante parole il rapporto che io avverto tra la musica e l’Assoluto».
Pedrini la suona alla chitarra, con un amico che lo accompagna. Un gesto semplice, toccante. Poi il vescovo riprende il microfono e commenta: «Ecco, qui stasera è avvenuto qualcosa: che non c’era prima, e non si ripeterà più. La musica è proprio un evento. In cui il confine tra materia e spirito è molo sottile».