La tenda di Dio

«In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio…»
(Vedi il Vangelo di Giovanni 1, 1-18). Per leggere i testi liturgici della seconda domenica di Natale, clicca qui.

Mentre le feste di Natale stanno per finire si ha quasi l’impressione che la liturgia voglia proporci una rivisitazione di quel mistero: lo ha fatto con il primo dell’anno riproponendoci il racconto dei pastori, lo fa di nuovo riproponendoci uno dei Vangeli letti durante la festa stessa del Natale: il cosiddetto “prologo”, il solenne inizio del vangelo di Giovanni.

LE ALTISSIME ORIGINI DEL BAMBINO

Gesù, dunque nasce, viene annunciato ai pastori, i pastori vanno a vedere e diventano, a loro volta, annunciatori. Questi i fatti. Ma sono soltanto fatti? Qual è il loro significato? Giovanni risale oltre l’inizio umano di Gesù, al di là della sua nascita a Betlemme, quasi a rispondere alla domanda: ma da dove viene questo Bambino? Questo Bambino è il Verbo, la Parola di Dio, che era presso Dio (si potrebbe tradurre anche «di fronte a Dio»), che era Dio. Il Verbo, la Parola di Dio fa sua la “carne”, cioè la fragilità dell’uomo, la debolezza. «E il Verbo si fece carne 
e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, 
gloria come del Figlio unigenito 
che viene dal Padre,
 pieno di grazia e di verità».

Anche l’espressione «venne ad abitare», potrebbe essere tradotta diversamente: «Pose le sue tende, si accampò tra di noi». È un’allusione all’Esodo. Durante l’Esodo Dio abitava nella tenda che si trovava nell’accampamento di Israele. L’umanità di Gesù, la sua “carne” è il nuovo tempio, il luogo in cui Dio abita, la tenda piantata in mezzo all’umanità. È in quel tempio che l’uomo può contemplare la “gloria” di Dio, cioè la sua benevola e beatificante manifestazione agli uomini.

La presenza di Dio nel mondo, dunque, non è più legata a un luogo, ma a un Uomo, Gesù. E non bisogna più uscire dal mondo perché Dio si è avvicinato al mondo. In un certo senso bisogna avvicinarci al mondo per avvicinarci a Dio. La presenza di Dio è in un gruppo umano (noi), il popolo dei figli che hanno accolto la Parola che lo adora e lo ama.

LA CARNE E LA GLORIA

La frase è davvero una mirabile sintesi:

E il Verbo si fece carne. È la realtà personale di Gesù: Verbo che si fa carne. E venne ad abitare in mezzo a noi. È il suo modo di stare nel mondo: la vicinanza, la casa-tenda in mezzo a noi. E noi abbiamo contemplato la sua gloria,
 gloria come del Figlio unigenito
che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità. È quello che riguarda noi. Il Verbo si fa carne, pianta la sua tenda in mezzo a noi e guardiamo, contempliamo la «grazia e la verità» di Dio che si accendono in lui. «Grazia e verità» traduce una doppia parola del Vecchio Testamento che significa «amore misericordioso e fedeltà» di Dio.

Il testo profondo, ricchissimo di Giovanni è un invito non tanto a raccontare un’altra volta il mistero, ma a capire ciò che abbiamo raccontato. Giovanni ci dice anzitutto che il Bambino che è nato è la Parola di Dio. Dio ci parla. Parola viva: è uomo. Parola esuberante: non fa altro che parlare e si spende nel parlarci e nel dirci quando Dio ci ha amato. La sua vita non è altro che quello: farci gustare la meraviglia di un Dio che è Parola, relazione, apertura, comunicazione. Giovanni riassumerà tutto in una sua lettera dicendo Dio è amore.

Ma la relazione non si realizza se non nella condiscendenza reciproca. Dio non può comunicarsi a coloro che non accettano la sua comunicazione, non può parlare a coloro che non ascoltano la sua Parola. Nell’iniziativa di Dio sta scritto il dramma, il “no”, il rifiuto. Il discepolo del Signore mette in conto la possibilità del suo “no” e, quando, invece, lui dice “sì”, la solitudine della sua fede. Più ama il Signore più soffre che altri non lo amino. È quello che sperimentiamo anche oggi, ogni giorno.

La solitudine della nostra fede, tuttavia, non ci impedisce di gioire per la grandezza della nostra vocazione. «A quanti però lo hanno accolto 
ha dato potere di diventare figli di Dio: 
a quelli che credono nel suo nome, 
i quali, non da sangue 
né da volere di carne 
né da volere di uomo,
 ma da Dio sono stati generati». È l’aspetto in qualche modo più sconvolgente del Natale. Il Natale è “per noi”. Nasce “per noi”. È bambino “per noi”. Per noi nasce, per noi muore, a noi dà la speranza.

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