Cattiva maestra

Giorgio Gori: aspirante candidato sindaco per Bergamo. Pasionario renziano, vuole costruire una Bergamo nuova, aperta e d’ampio respiro internazionale. Il 23 febbraio (giorno delle primarie) si vedrà se sarà lui il volto col quale il centrosinistra si presenterà alle elezioni amministrative di maggio. Dopo aver animosamente sostenuto il suo eroe filosofico (Matteo Renzi) alla corsa in segreteria del PD, ora si sta rimboccando le maniche e sta lavorando alacremente per raggiungere l’ambita carica di sindaco di Bergamo.
La profusione di energie in questo sua “discesa in campo” è ammirevole (“mi candido perché posso dare alla comunità tutto quello che ho imparato nella mia vita professionale gestendo delle macchine complicate come quelle aziendali…”); i suoi punti di forza sono: il puntare sulle esigenze dei giovani (http://lab3g.altervista.org ) e il sapiente utilizzo della sua efficace capacità comunicativa (affiancata da una considerevole eco mediatica), in grado di catturare l’attenzione di tutte le fasce d’età; capacità, questa, messa a punto nella sua decennale esperienza nel mondo televisivo, ed ampiamente collaudata, in tutta la sua efficienza, per la campagna elettorale di Matteo Renzi.
Sembrerò dozzinale, e forse verrò tacciato di essere il solito spocchioso di sinistra, ma vorrei soffermarmi un attimo sulla sua ricca esperienza come manager di Canale 5 e poi di Magnolia, dopo aver letto un suo ragionamento apparso sul suo sito ufficiale dopo un incontro con gli insegnanti della città; parole che mi hanno fatto riflettere… ve le riporto: “[…] diversi insegnanti, a mio avviso erroneamente, tendono a ricondurre ai media – e alla televisione in primo luogo – la responsabilità di un generale scadimento del livello culturale nella società italiana. Vista la mia biografia professionale, è comprensibile quel filo di preoccupazione con cui li ho incontrati (circa il loro giudizio sul ruolo della tv, al netto di una totale condivisione sulle oggettive carenze del servizio pubblico, avrei cercato di spiegare che i contenuti della televisione commerciale sono sostanzialmente gli stessi in tutti i Paesi dell’Occidente, e che l’oggettivo deficit di competenze degli italiani adulti – certificate dall’Ocse – difficilmente vi può essere ricondotto; piuttosto andrebbe indagata la totale mancanze di politiche formative per l’età adulta). Invece abbiamo parlato d’altro […]”
Infatti all’incontro hanno parlato di tutt’altro rispetto al “ruolo della tv”, perché dopotutto queste non sono questioni che toccano un sindaco, né dovrebbero tantomeno toccare chi, come Gori, è un aspirante tale. Se si fosse sprecata qualche parola sul punto si sarebbe aperta una discussione che avrebbe esulato completamente dal titolo dell’incontro…
Di sicuro sarà stato un incontro molto stimolante, ma forse, qualche parola andrà pure detta a riguardo, perché, mi permetto di dire senza fregiarmi del titolo né di sociologo né di critico televisivo, la televisione (così come la radio e i giornali) non può essere vista come una semplice “industria”, e affermare il contrario mi pare alquanto sbagliato: la televisione ha avuto una considerevole responsabilità di un generale scadimento culturale.

La biografia professionale di Giorgio Gori parla chiaro di come lui sia stato un abile ed apprezzabile manager del gruppo Mediaset ricoprendo la carica, dal 1991 al 2001, di direttore di Canale 5 (eccetto nel biennio ‘97/’98 in cui è stato direttore di Italia 1), fino a fondare, nel 2001, la società di produzione televisiva Magnolia, creando veri e propri successi televisivi. Si dimette nel 2012 per dedicarsi completamente alla politica scendendo in campo per Renzi.
È proprio durante questo ventennio, dal 1991 al 2012, coincidente col cosiddetto “ventennio berlusconiano”, che la televisione italiana riesce a profondere un gusto per il trash ancor peggiore di quello visto negli anni ’80 (consiglio a riguardo il bellissimo, e deprimente, film “Videocracy – Basta apparire”, del bergamasco/svedese Erik Gandini, nel quale si racconta, con crudo distacco, l’alienante mondo televisivo italiano).
A titoli d’esempio squisiti riporto: “Il Grande Fratello”, ove un gruppo di persone, accuratamente selezionate, venivano sbattute e rinchiuse in questa celeberrima casa e venivano filmate 24 ore su 24, esprimendo la loro “poliedrica e pittoresca” umanità (per curiosità, dalla fortunatissima 1° edizione è fuoriuscito Rocco Casalino; attualmente ricopre la carica di deputato della Repubblica tra le file del Movimento 5 Stelle); e “L’Isola dei Famosi”, ove alcuni Vip venivano sbattuti su di un’isola “deserta” e lì vivevano un sorta di “vita da naufraghi”, filmati 24 ore su 24, esprimendo egualmente la loro “poliedrica e pittoresca” umanità. Molto probabilmente chi legge saprà di cosa sto parlando: a chiunque sarà capitato (sempre ammesso che uno possieda un televisore che riceva un segnale decente) di vedere almeno 5 minuti di uno dei due celebri programmi.
Questi due emblematiche trasmissioni di grandissimo successo, sono stati le punte di diamante della carriera di Giorgio Gori: “Il Grande Fratello” quando era direttore di Canale 5 nel 2000 e “L’Isola dei Famosi”, uno dei più grandi successi trasmessi dal servizio pubblico nazionale (non poi così tanto carente a questo punto), quando era a capo di Magnolia.
Non metto in dubbio la bravura di Gori come manager esemplare e capace, semmai critico la visione di televisione come industria e non come servizio, poiché son convinto che essa ha un intrinseco dovere formativo (oltre a quello informativo) anche quando si tratta di fare entertainment.
Dagli anni’80 ( dove nacque un po’ il genere trash con i celebri “Drive In” ) fino ad oggi, c’è stata un’escalation in termini di televisione di basso livello, accompagnata ad una quasi totale assenza di contenuti culturali: c’è modo e modo di fare televisione, perché si può offrire un buon prodotto che sia piacevole ed appagante al telespettatore senza scadere per forza nella banalizzazione e nella ridicolizzazione della realtà propria dell’imperante genere trash.
La televisione, contraddistinta dalla sua alta potenzialità d’influenza e d’opinione, è un mass media che ha cambiato inesorabilmente il mondo (così come lo sta facendo internet) e non può non avere responsabilità riguardo allo scadimento culturale che ha contraddistinto i palinsesti televisivi degli ultimi trent’anni.
Resta fermo il fatto che ognuno può guardarsi quello che vuole in tv, ma resta pure fermo il fatto che la necessità di una ancor maggiore offerta di qualità nelle programmazioni televisive resta centrale perché l’Italia che piacerebbe a noi giovani ha un volto diverso da quello mostrato nelle più svariate trashate televisive.
Solleverei qualche perplessità su certe opinioni riguardo a un certo modo di far televisione, perché visti i trascorsi della storia personale di Gori, l’idea di cultura che potrebbe avere la futura giunta comunale potrebbe farmi stare un po’ in pensiero considerandomi tra i giovani cittadini di Bergamo che soffrono la carenza di politiche culturali di spessore.