“Paolo VI e il progetto di una Chiesa povera a servizio degli uomini”

«Ho fiducia che la rinnovata attenzione nei confronti di Paolo VI come modello di vita cristiana aiuti a riscoprire e valorizzare lo stile di mitezza, pazienza, condivisione, di cui la Chiesa oggi ha tanto bisogno, e la società civile, in Italia e nel mondo, ancor di più. E Papa Francesco è un grandissimo dono, un’occasione e una grande speranza che dobbiamo coltivare nella preghiera e nelle azioni personali e comunitarie. Certo la beatificazione di Papa Montini aiuta il popolo cristiano ad averne presente la figura, l’insegnamento, la testimonianza. E ciò è tanto più prezioso in quanto si tratta di una figura, un insegnamento e una testimonianza che – anche per una Sua scelta di sobrietà e umiltà – non è facile percepire in profondità». Angelo Bertani vaticanista, è stato responsabile della stampa di Azione Cattolica, ha scritto per Avvenire, Jesus e Famiglia Cristiana, ha conosciuto personalmente Paolo VI (1897-1978) che sarà proclamato “beato” da Papa Francesco sul sagrato di Piazza San Pietro il prossimo 19 ottobre. “Il grande timoniere” del Concilio Ecumenico Vaticano II e del post-Concilio viene ricordato dal vaticanista Bertani, nato a Brescia nel 1944, fondatore di Segno Sette e conterraneo di Montini, come un uomo «ad un tempo timido e affettuoso, ricco di consigli e rispettoso delle scelte. Il Pontefice mostrava una fiducia così incoraggiante non solo verso di me ma verso tutte le cose del mondo e della Chiesa».

Che cosa ha rappresentato Papa Montini per la Chiesa e per il mondo di quei difficili anni?
 «Direi così: in quegli anni difficili per la Chiesa e per il mondo Paolo VI costituì un “segno provvidenziale” di consolazione e di speranza per tutti gli uomini di buona volontà, il segno che il Signore ci è vicino, cammina con noi. E dunque possiamo sperare e impegnarci; con fatica ma con possibilità di costruire davvero qualcosa di bello e di buono. Questa era la Sua grande speranza in quegli anni. E il Suo grande desiderio era quello di aiutare tutti i credenti, tutti gli uomini di buona volontà, ad avere speranza e fiducia nel Signore, nel vangelo e nella comunità ecclesiale. In questo senso vorrei dire che cercò proprio di essere, come diceva, servus servorum Dei. Questa espressione, “servo dei servi di Dio” non è un’inutile esibizione di umiltà ma indica quello che ciascuno di noi dovrebbe cercare: essere un servo, un umile e concreto aiuto per i fratelli e testimoniare così, insegnare a ciascuno a essere al servizio del Signore Iddio, al servizio del Suo progetto di vita e salvezza per tutti gli uomini. E proprio così Paolo VI ha voluto orientare e guidare il Concilio: non per glorificare la Chiesa o per conquistare il mondo, ma per aiutare la Chiesa e tutti i credenti, dai vescovi ai laici, a riscoprire la Chiesa che è tutta al servizio di Dio e dei Suoi figli, gli uomini, credenti e non credenti. Una Chiesa povera e al servizio del Signore e di tutti i suoi figli: questo era il progetto di Giovanni e di Paolo. Per questo la Chiesa oggi desidera riconoscere ad alta voce la santità di Roncalli e di Montini. E in loro riconosce la santità dei tanti cristiani, laici, religiosi preti e vescovi, uomini e donne, che hanno vissuto con questo progetto: di riconoscere che la Chiesa può e deve servire gli uomini, perché essi, tutti, sono figli di Dio. E che il servizio più grande e necessario è quello di aiutarli a scorgere la bontà e la presenza del Signore ogni giorno accanto a ciascuno di noi; e la presenza del Signore Iddio nella vita, nella parola, nelle opere della Chiesa; e scoprire che essa è la comunione degli uomini tra loro con e nella Trinità. Di qui nasce l’amore per la Chiesa, non certo come struttura temporale, né solo per le cose che dice, le buone opere che compie e magari anche qualche errore ma perché è il luogo nel quale i credenti esercitano, con mote imperfezioni, l’amore reciproco e verso Dio; e giungono ad una certa maggior comprensione del mistero e della verità in cui vivono e verso cui camminano».

Con il suo magistero Paolo VI (1963-1978) seppe salvare dal naufragio la barca della Chiesa per poi traghettarla verso la modernità, senza rompere con la tradizione? Fu quello un progresso nella continuità?
«Certo, anch’io credo che il pontificato di Montini sia stato un cammino di rinnovamento nella continuità. Nella continuità, sì della vita della Chiesa, della teologia ma soprattutto della natura e della storia umana. Niente miracolismi, ma piuttosto un lavoro dall’interno di miglioramento, di apertura a un’ispirazione superiore. E poi ci ha aiutato a guardare con fiducia al cammino della Chiesa e delle Chiese, perché la Chiesa cattolica non è un monolite ma una comunione di chiese e di credenti. Personalmente non parlerei di rischi di naufragio, perché su questa barca c’è il Signore che è in grado di quietare qualsiasi tempesta e di convertire in forza positiva anche le pulsioni distruttive. Certo Paolo VI ha testimoniato la fiducia nella parola del Signore anche in tempi difficili, segnati da trasformazioni e conflitti. E vorrei sottolineare quella che Vergottini chiama la sua “tenacia conciliare” e che si può riassumere nelle parole del 21 giugno 1978, poche settimane prima di morire, quando confessava, quasi a fare un bilancio della sua vita: “A questo punto noi dovremmo rivelare il pensiero dominante del nostro ufficio, cioè del nostro servizio al mondo, alla Chiesa. Ebbene, noi diremo tutto in una parola. Questo pensiero, cioè questo programma, è per noi il Concilio Vaticano secondo, che abbiamo in questi anni passati celebrato e che ora cerchiamo di tradurre in costume, in Spirito vivente…”».

Bergoglio con la canonizzazione di Montini ha tolto dall’oblio un pontefice forse messo in un cono d’ombra dai suoi successori?
«Certamente Papa Bergoglio mostra una continuità profonda, una sintonia con alcuni caratteri del pontificato montiniano. C’è in lui una semplicità, quasi un pudore, un atteggiamento amichevole verso il mondo, i “lontani”, la pluralità delle forme in cui si esprime lo spirito cristiano, una naturale, spontanea benevolenza; e tanta semplicità un rifuggire dalle polemiche, da qualsiasi segno di forza, dalla ricerca del successo visibile (foss’anche ad majorem Dei gloriam…). Personalmente tuttavia non credo che si possa parlare di un cono d’ombra intorno a Paolo VI. Forse lo si citava poco esplicitamente, non se ne faceva panegirico pubblico ma credo che in tutti questi anni sia stato molto presente alla coscienza cristiana del popolo di Dio e anche delle gerarchie della Chiesa».

Per quale motivo il papa dell’enciclica Humanae Vitae (1968) sulla contraccezione, della Chiesa del dialogo col mondo (Ecclesiam Suam, 1964), del cattolicesimo sociale e progressista (Populorum progressio, 1967) e anche del pluralismo politico dei cattolici (Octogesima adveniens, 1971) fu definito “troppo conservatore per i progressisti, troppo progressista per i conservatori”?
«Perché ci sono troppe persone, specie tra quelli che si propongono come “guide” dell’opinione pubblica, che vedono solo la superficie delle cose, anzi vedono solo le cose appariscenti, sentono solo quelle rumorose. In realtà i veri progressisti sono allo stesso tempo anche i veri conservatori (e Paolo VI fu, infatti, entrambe le cose); la contrapposizione nasce dalla superficialità. I cattivi conservatori e i cattivi progressisti (quelli cioè che scambiano l’identità con l’immobilità, il rinnovamento con l’apostasia) non potevano capire Paolo VI che era capace di mantenersi fedele e conservare l’essenziale identità dell’insegnamento evangelico incarnandolo, se occorreva in maniera rinnovata e creativa, nella realtà storica che si trasformava. I cristiani, infatti, dovrebbero ben ricordare che è il medesimo Dio Creatore, nello stesso disegno di amore, che ci ha offerto le verità e i valori, che noi chiamiamo e in certo modo sono immutabili, e li ha collocati insieme con noi nella realtà storica mutevole, e a sua modo creatrice ed evolutiva, in fedeltà allo stesso disegno del creatore. Altro è il tradimento, l’incoerenza, la cieca e paurosa, egoistica conservazione o il cieco e presuntuoso progressismo».

Con Paolo VI hanno avuto inizio i sinodi dei vescovi, quel cammino di collegialità dell’episcopato che è ancora in atto, ne è un esempio il Sinodo Straordinario sulla Famiglia che si sta svolgendo ora in Vaticano e il cui atto finale sarà proprio la beatificazione di Montini. Che cosa ne pensa?
«Certo Paolo VI, anzi: il Concilio di Giovanni XXIII e di Paolo VI, ha aperto alla Chiesa meravigliose prospettive di rinnovata e creativa fedeltà al Vangelo. Non deve meravigliarci che cammin facendo abbiamo scoperto che sia una strada anche difficile. Ma dobbiamo e possiamo conservare la gioia e l’entusiasmo di questo cammino ricordando le parole di Papa Montini: “Avremo un periodo nella vita della Chiesa, e perciò in quella di ogni suo figlio, di maggiore libertà, cioè di minori obbligazioni legali e minori inibizioni interiori. Sarà ridotta la disciplina formale, abolita ogni arbitraria intolleranza, ogni assolutismo; sarà semplificata la legge positiva, temperato l’esercizio dell’autorità, sarà promosso il senso di quella libertà cristiana che tanto interessò la prima generazione cristiana, quando essa si seppe esonerata dall’osservanza della legge mosaica e delle sue complicate prescrizioni rituali. Noi dobbiamo perciò educarci all’uso schietto e magnanimo della libertà del cristiano, sottratto al dominio delle passioni e alla servitù del peccato e interiormente animato dal gioioso impulso dello Spirito Santo. Dunque riassumiamo: il nostro tempo, di cui il Concilio si fa interprete e guida, reclama libertà. Noi dobbiamo sentirci felici e pensosi di questa nostra fortuna storica…” (9 luglio 1969). E tuttavia non dobbiamo meravigliarci delle difficoltà; e ricordiamo anche i momenti di riflessione, non direi di scoraggiamento, che Paolo VI ha pure vissuto e ha avuto la sincerità e il coraggio di esprimere, e anche di superare: “Credevamo che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. È venuta invece una giornata di nuvole e tempeste, e di buio, e di ricerche e d’incertezza, e si fa fatica a dare la gioia della comunione; predichiamo l’ecumenismo e ci distacchiamo sempre di più dagli altri, e cerchiamo di scavare abissi invece di colmarli. Com’è avvenuto questo?” (29 giugno 1972)».

Paolo VI personalità mite e riservata era dotato di vasta erudizione e fu profondamente legato a un’intensa vita spirituale. Lei che lo conobbe personalmente, che ricordi conserva del conterraneo Montini?
«Sì ho avuto occasione di conoscerlo da vicino perché c’era un antico rapporto tra le famiglie (già mio nonno era amico di Suo padre, mio papà conosceva bene ed ebbe per testimone di nozze il fratello di Paolo VI, Lodovico). Poi ebbi occasione di conoscerlo già da cardinale attraverso padre Manziana, poi vescovo, e il padre-cardinale Bevilacqua, che Montini considerava il suo maestro benché avesse un carattere estroverso, appassionato e ne apprezzava molto la libertà di spirito e lo spirito profetico. Soprattutto quando mi trasferii a Roma per la Fuci e per l’Azione Cattolica, Montini fu lieto e mi incoraggiò e da Papa mi incontrò, mi scrisse e telefonò più volte. Era a un tempo timido e affettuoso, ricco di consigli e rispettoso delle scelte; e soprattutto mostrava una fiducia così incoraggiante non solo con me ma verso tutte le cose del mondo e della Chiesa. Certo vedeva le difficoltà, i rischi, gli errori con precisione e anche severità; ma aveva sempre una grande fiducia nelle persone e nell’opera del Signore dal quale noi dobbiamo imparare a non scoraggiarci e a non disperare mai. Certo Montini, aveva un carattere che, usando parole umane sempre un po’ imprecise, si direbbe assai timido, riservato e rispettoso e molti avevano dunque l’impressione di una certa freddezza o distanza. Credo che ciò lo facesse soffrire molto perché, da come l’ho conosciuto, direi che Lui spontaneamente avrebbe voluto sorridere, abbracciare ed esprimere fiducia a ogni persona che incontrasse; ma sentiva l’immenso peso della responsabilità. E tuttavia credo che fosse guidato da una grande fiducia verso tutti anche perché il Signore è accanto a tutti e guida tutti anche più di quanto noi pensiamo».

Il Cardinale Cé ricordando Paolo VI a trent’anni dalla morte, in un’intervista disse che il Santo Padre prima di diventare arcivescovo di Milano aveva dedicato gran parte della sua vita ai laici. Ci può dare una Sua opinione al riguardo?
«Credo che sia verissimo. Non solo ai gruppi e associazioni di apostolato dei laici e azione cattolica, presso i quali ha svolto un indimenticato ministero pastorale. Anche la sua pastorale a Milano, ad esempio, è stata segnata da attenzione e fiducia verso i laici e anche a Roma, compatibilmente col mondo curiale. Ma io posso parlare soprattutto di quel che ho vissuto di persona e devo testimoniare che anche da Papa aveva un’attenzione e una sintonia con i laici, un desiderio di dialogare, informarsi, capire che sono indimenticabili e che spero di ritrovare e rivivere, quando il Signore vorrà, nella casa del Padre».