Mio figlio è omosessuale. Non è stata facile per me

Cara suor Chiara, mio figlio è omosessuale. Mia moglie e io abbiamo accettato. Meglio: abbiamo cercato e stiamo cercando di accettare. Ma è dura. E, io soprattutto, mi sento in colpa anche per questo: avrei preferito che mio figlio non fosse omosessuale. Quanti sogni sono crollati! Chiedo a te di reagire. Ma, per favore, non farmi anche tu la predica che mi hanno già fatto in molti. Cerca, prova, dal tuo punto di vista, di pensare a che cosa vuol dire trovarti di fronte un figlio così “diverso” da come lo avevo immaginato. Grazie. Nicola.

ENTRARE NELLA SOFFERENZA

La domanda che mi poni, caro Nicola, è molto delicata e molto impegnativa. Provo a condividere quanto sgorga dal cuore e dalla preghiera, scusandomi se dirò cose risapute. Posso intuire la tua sofferenza, gli interrogativi, e anche i sensi di colpa che vivi. Ascoltali e accoglili in te, ma non fermarti a questo. I genitori nutrono molte aspettative verso i figli, proiettano desideri, attese, i sogni che loro non sono riusciti a realizzare. Per i figli desiderano sempre il meglio, quanto è impossibile immaginare: allora, come è grande e deludente il crollo dei sogni! Dai voce alla tua sofferenza e anche alla tua delusione, ma continua a percorrere il cammino difficile dell’accettazione e dell’accoglienza. Occorre tanto tempo per attraversare la sofferenza, ma è l’unica possibilità per “venire alla luce”, per intraprendere la via buona della consegna, dell’affidamento e della trasformazione. Poni la tua vita nelle mani del Padre perché ti doni la grazia di accogliere tra le braccia questo tuo figlio. Occorre l’umiltà di consegnare a Lui quanto vivi, perché porti con te questo carico.

ACCOGLIERE COLUI CHE È ANZITUTTO FIGLIO

Comprendo la fatica e la ribellione, ma è la via necessaria per ritrovare “il figlio” che tu sembri non voler più riconoscere come tale. Questa sua condizione sembra allontanarlo dalla fonte, dalla quale sgorga la tua vocazione di padre, e la sua di figlio. Sì, perché prima di essere omosessuale lui è, e rimane, tuo figlio! Essere padre è una vocazione non scontata, è dono! C’è una paternità fisica che non equivale sempre a una paternità vocazionale, che sa assumere la crescita di quel dono che è e rimane il figlio. E c’è una paternità che sa prendersi cura dell’altro, accogliendolo sempre come dono, con i suoi talenti e i suoi limiti. Si genera una vita e la si vorrebbe a propria immagine, ma il figlio rimane sempre “altro”, un mistero che si svela crescendo nella sua originalità e che chiede di essere riconosciuto e amato nella sua unicità. Questo non significa giustificare o approvare scelte o comportamenti, ma distinguere la persona da ciò che essa fa o dimostra di essere, per accoglierla gratuitamente. Riconosci in lui i doni e le qualità che lo caratterizzano, e mantieni un clima di familiarità in cui non si senta giudicato ma possa condividere un po’ della sua vita e forse della sua sofferenza. L’omosessualità se non è vissuta con arroganza e pretesa di affermazione, rimane, anche per chi la vive, una sofferenza che spesso condiziona le relazioni sociali e chiude in una solitudine. Mantieni aperto il dialogo e il confronto con lui nella chiarezza dei tuoi valori e dei principi che vivi e cerchi di testimoniare con coerenza. Condividi la tua sofferenza con tua moglie e con persone care e di fiducia. Ràdicati in una fede autentica, inserita nel mistero pasquale di Cristo, al quale guardare per attingere la forza dell’amore e del perdono. La fede in Lui ti apra alla libertà da ogni forma di giudizio o pregiudizio, dagli eventuali commenti dei vicini o dei lontani, per mantenere saldo il valore della tua paternità e continuare a viverla nella relazione con tuo figlio. Questa relazione, mantenuta nel tempo, sarà il frutto fecondo di un amore totalmente gratuito, che è passato nel crogiolo della sofferenza e si è lasciato purificare come l’oro; di un amore che ha imparato a non trattenere nulla per sé ma a donarsi senza misura.

I VOSTRI FIGLI NON SONO I VOSTRI FIGLI

“ I vostri figli non sono i vostri figli. Sono i figli e le figlie della fame che in se stessa ha la vita. Essi non vengono da voi, ma attraverso voi, e non vi appartengono benché viviate insieme. Potete amarli, ma non costringerli ai vostri pensieri, poiché essi hanno i loro pensieri. Potete custodire i loro corpi, ma non le anime loro, poiché abitano case future, che neppure in sogno potrete visitare. Cercherete d’imitarli, ma non potrete farli simili a voi, poiché la vita procede e non si attarda su ieri. Voi siete gli archi da cui i figli, le vostre frecce, sono scoccati lontano”.