Il “Piccolo principe”: il film. Perplessità

Immagine: un fotogramma del film di Mark Osborne

IL RICORDO DI CIÒ CHE È SCRITTO E LA DELUSIONE PER CIÒ CHE SI VEDE

Il “Piccolo principe”, il film di Mark Osborne, è nelle sale. Non ha il successo del “Quo vado” di Checco Anzalone, ma va e, pare, bene. Mi sono recato a vederlo con il limite di chi ha letto il testo, lo ha goduto ed è curioso di vedere cosa succede quando il testo diventa immagine. È un limite, perché come il cuore ha delle ragioni che la ragione non conosce – Pascal dixit – così le immagini hanno una logica che il testo non conosce. Sta probabilmente qui la ragione che spiega la mia – relativa – delusione. Delusione di un incompetente, ovviamente, ma siccome i grandi testi appartengono a tutti, anche agli incompetenti, così le immagini che li raccontano.

LA FAVOLA “ANTICA” E QUELLA “MODERNA”

Il film non è piaciuto soprattutto perché l’autore ha voluto mettere in rapporto la fiaba inimitabile di Saint-Exupéry con una cronaca moderna. La fiaba racconta del Piccolo Principe che abita un lontano asteroide, vola via trasportato da uno stormo di uccelli, perché deluso dalla vanità della rosa di cui è innamorato, attraversa lo spazio, incontra su piccoli pianeti personaggi solitari e stravaganti, arriva nel deserto del Sahara dove è atterrato un aereo in avaria con l’aviatore al quale il piccolo principe racconta la sua avventura. Lì incontra la volpe che gli chiede di addomesticarlo, per intessere con lei un rapporto unico, come quello del piccolo principe con la rosa del lontano asteroide. Alla fine l’aviatore ripara l’aereo e riparte e il piccolo principe torna al suo asteroide dopo aver capito che la rosa di cui era innamorato era unica proprio perché lui ne era innamorato…

Questa – e molto altro perché le favole devono essere raccontate per intero altrimenti perdono – questa la favola del capolavoro di Saint-Exupéry. La favola moderna, molto articolata e complessa della bambina e della madre-tigre, del vecchio aviatore vicino di casa, dell’amicizia della bambina e del vecchio – e, anche qui, tanto altro… – finisce per fagocitare la favola “antica” del piccolo principe. Soprattutto la mirabile linearità e semplicità di questa contrasta violentemente con la complessità di piani e di personaggi di quella.

IL RACCONTO CHE SOFFOCA IL RACCONTO

Se è permesso un paragone un po’ ruspante, succede al film di Osborne quello che succede a certe prediche che vogliono “attualizzare” (bello questo verbo!) il vangelo: sono talmente preoccupate della attualizzazione che dimenticano il vangelo che vogliono attualizzare e trasformano il testo del quale vogliono parlare in un semplice pretesto.

I PRECEDENTI

È un po’ inevitabile, forse. Per restare alla letteratura francese, quando si è tentato di “tradurre” in immagini un grande capolavoro letterario, sono stati, spesso, più o meno grandi flop. Mi viene in mente “Il tempo ritrovato”  di Raul Ruiz che aveva la pretesa di raccontare in immagini il capolavoro di Proust. Oppure “La Peste” Luis Penzo che si ispirava al romanzo di Camus. Diciamo che non sono passati alla storia del cinema. Staremo a vedere cosa succederà al film di Osborne.