Dopo il Natale. Per un dialogo culturale serio

Foto: Papa Francesco, lo scorso 5 gennaio ha visitato Greccio, dove s. Francesco ha creato il primo presepio, nel 1223

Ancora una volta il Natale è stato occasione di uno pseudo dibattito culturale mirante,
nell’intenzione dei proponenti, al rispetto degli stranieri che provengono da una cultura diversa
da quella che si respira in Italia da secoli e perfino da millenni.
Vien da dire: “Signore fino a quando?” (Sl 94, 3).
Veramente, più che un’occasione il Natale e altre manifestazioni religiose cattoliche sono un pretesto,
perché del dialogo culturale in questo dibattito non c’è nemmeno l’ombra.
E i pretesti, se si vuol essere seri, vanno smontati.

I SEGNI RELIGIOSI DAVANTI ALLA CORTE EUROPEA

Alcuni anni fa, ci fu una massiccia reazione all’improvvida sentenza della Corte Europea riguardante l’esposizione del Crocifisso nelle scuole italiane. Quella protesta, innanzi tutto, interessò i più disparati ambienti culturali e sociali del nostro paese, anche molto al di là dell’ambito strettamente cattolico; in secondo luogo, vide impegnati moltissimo anche i giovani; infine non fu una crociata di tipo religioso, ma una “battaglia” di tipo culturale. E fu giusto così, perché un pronunciamento del Consiglio di Stato (n. 63 del 1988) riguardante l’esposizione del Crocifisso, ribadiva che “il Crocifisso, o più esattamente la Croce, a parte il significato per i credenti, rappresenta il simbolo della civiltà e della Cultura cristiana, nella sua radice storica, come valore universale, indipendentemente da specifica confessione religiosa” e affermava che “la Costituzione Repubblicana, pur assicurando pari libertà a tutte le confessioni religiose, non prescrive alcun divieto alla esposizione nei pubblici uffici di un simbolo che, come il Crocifisso, per i principi che evoca e dei quali si è già detto, fa parte del patrimonio storico”.

COERENZA VORREBBE…

Fu simpatica anche l’arguzia con cui tanti si rivolsero alla Corte Europea e alla signora (finlandese sposata ad un italiano) che ne aveva sollecitato il pronunciamento. Essi, ad esempio, chiedevano sia alla Corte sia alla signora, che, per coerenza, provvedessero all’abolizione della croce dalla bandiera della Finlandia, della Svizzera, della Gran Bretagna, della Svezia, della Norvegia, della Danimarca, dell’Islanda, dell’Irlanda del Nord, della Scozia. della Georgia, della Grecia, ecc. ecc.

Lo stesso potrebbe avvenire a Natale se, come si è verificato anche quest’anno, continuerà ad esserci qualche “libero pensatore” che… per non offendere gli islamici (i quali, per loro stessa dichiarazione, non si sentono affatto offesi), o per non traumatizzare i figli degli agnostici nostrani, chiederanno che non si parli di Natale, ma si opti, che so, per la “Festa del Bianco Inverno”, o già che ci siamo, per essere più colti, per la “Festa dei Saturnali” e si batteranno perché non si faccia il Presepio a scuola, perché la scuola è laica e, quindi, bando a tutto ciò che sa di cristianesimo, largo invece e applausi a Babbo Natale. Non importa se in Italia il presepio lo si fa dal lontano 1223 e quindi fa parte del nostro panorama culturale da quasi 800 anni; qualche… mese prima dell’insulso Babbo Natale. E non importa nemmeno che il canto “Tu scendi dalle stelle” faccia parte della nostra atmosfera natalizia dal 1754, secoli prima di “Bianco Natale” o di “Jingle bells”.

I promotori della nostra cultura, prima di Natale, hanno censurato duramente il parroco di Antey-St-André (AO) per aver detto ai bambini che Babbo Natale non è un personaggio reale. Il reverendo effettivamente poteva risparmiarselo, perché questo è un discorso da fare agli adulti e non ai bambini. Nel contempo però i difensori del pupazzo americano han reclamato che si cancellasse dalla scuola ogni segno acustico e visivo del Natale, come festa della Nascita storica di Gesù (di chi se no?), a partire dalla quale noi da oltre due millenni contiamo lo scorrere del tempo. Squallido!

Ma, per favore, che dialogo interculturale autentico può esserci, ad esempio, tra italiani ed islamici, se uno dei due dialoganti cancella i segni della propria cultura per far piacere all’altro che neppure lo richiede.

QUELLO CHE INTERESSA A UN PARROCO

Ribadisco con convinzione che la battaglia culturale per il crocifisso e per il presepio mi fa enormemente piacere, perché è un valore, ma…, a me come prete, riguardo al crocifisso e al presepio, sta a cuore qualcosa d’altro. Ed è per questo “qualcosa d’altro” che mi son battuto e mi batterò per tutta la vita. E questo “qualcosa d’altro” è che “Cristo abiti per la fede nei nostri cuori”.

Battersi per il crocifisso sulle pareti delle scuole e per il presepio negli atri delle stesse, e non cercare l’incontro con il Cristo vivo nella sua Chiesa, nei sacramenti, nell’ascolto della Parola, mi fa lo stesso effetto di chi durante un incendio di casa sua volesse salvare la foto della moglie che ha sulla parete e non facesse niente per salvare la moglie dal morire soffocata dal fumo e arsa dalle fiamme.

Mi batterò sempre perché la mia gente preferisca sempre la moglie alla foto della moglie; preferisca Gesù Cristo vivo, (presente e operante nell’Eucaristia, per esempio), all’immagine del Cristo, fosse pure la più artistica e la più preziosa. Cristo è vivo! Cristo è nei sacramenti! Cristo è nei poveri!