Natale. Gli auguri moderni di san Benedetto

Il Natale, tra cine-panettoni e memoria cristiana

Svuotato del contenuto di fede originario, il 25 dicembre di ogni anno si è sempre più sovraccaricato degli orpelli delle retoriche, delle luci multicolori, dei consumi bulimici, dei potlach commerciali, degli spettacoli televisivi sguaiati, dei cine-panettoni pecorecci, dei pini, dei Babbi e delle renne…

Per i credenti, si tratta del ricordo di un giorno – tra il 7 a. C e il 3.a C – della storia umana, in cui Dio decise di innalzare una tenda permanente tra gli uomini e di mescolarsi al fango e alla polvere della Terra o, come ha scritto con qualche ottimismo il teologo protestante J. Moltmann, di “camminare nel giardino con noi”. La storia umana viene presa per mano e accompagnata verso un futuro migliore, sottratta a quei cicli, “per i quali si riteneva necessario che l’anima sarebbe tornata sempre alle stesse miserie”. Così Agostino di Tagaste nel “De Civitate Dei” (XII, 21, 4),  in cui critica la teoria dell’eterno ritorno della filosofia pagana della storia.

L’impresa disperata di ricuperare la speranza

Dunque, il Natale non come una Giornata della pace – del resto l’ONU ne ha già istituito una il 21 settembre e la Chiesa cattolica un’altra il 1° gennaio di ogni anno –  ma, piuttosto, come una Festa della speranza. Anche i non credenti, per i quali l’Incarnazione è solo il mito autoconsolatorio di una storia umana attraversata da fiumi di sangue, non possono sottrarsi alla potente  suggestione di quella speranza, che ha dato energia alle moderne utopie di liberazione umana e che si riannuncia il 25 dicembre di ogni anno. E, tuttavia, rigenerare la speranza in occasione dei Natali di questi anni del Terzo Millennio, diventa un’impresa sempre più… disperata.

La pentola di Geremia ancora in ebollizione in Medio Oriente

Dal nostro punto di osservazione italiano ed europeo, l’infelicità pubblica è penetrata nella famiglie e nella testa delle persone: è diventata motore di infelicità privata. Attorno a questo Natale 2016 ribolle un caos di eventi, che generano un disordine storico crescente, tipico dei periodi pre-bellici. Non è la prima volta. Nel 626 a. C. al Dio che gli chiedeva che cosa vedesse, il profeta Geremia prima rispose “un ramo di mandorlo!”; ma poi, a domanda ripetuta, aggiunse: “una pentola in effervescenza con la sua faccia dalla parte del settentrione”. La pentola in ebollizione era quella dei popoli a Nord della Palestina, i Babilonesi, dai quali sarebbero arrivate le invasioni e la distruzione del Regno di Giuda nel 586 a. C. I Giudei furono deportati a Babilonia. In questo 2016 “la pentola” biblica continua a gorgogliare e, in omaggio involontario alla teoria dei cicli, proprio negli stessi luoghi.

Il mondo “battello ubriaco”

Ma anche oltre. Perchè, nel frattempo, la popolazione mondiale è passata dai 125 milioni di abitanti del 500 a. C. ai 7 miliardi di oggi. Pertanto i conflitti per l’energia, l’acqua, la terra, i confini sono diventati esplosivi. E il progresso tecnico-scientifico ha aumentato sì le risorse, ma anche le capacità di autodistruzione dell’umanità. L’arena della globalizzazione non è affatto pacifica. Siamo prigionieri del “bateau ivre” del mondo, sballottato da eventi incontrollabili, e giova a poco stare abbarbicati al salvagente, tenendo gli occhi bassi sulle nostre improrogabili faccende quotidiane. Siamo perciò tentati di cedere alla narrazione della storia degli uomini come se fosse raccontata shakespearianamente “da un idiota, piena di rumore e di furore…” o da Kafka: “un impasto confuso e disperato”.

La risposta dell’Islam e la risposta cristiana

Il platonismo popolare dell’Islam dà una risposta: i giorni della storia sono “i giorni di Dio”. Inutile cercare un senso, tentare di stare a galla: è già stato tutto deciso da una Volontà misteriosa e imperscrutabile. Di qui non nasce disperazione, semplicemente perchè non c’è speranza. Gli individui sono solo la tessera di un puzzle, il cui disegno non hanno tracciato loro. La risposta cristiana al dramma della storia non prevede che Dio si sia incarnato per toglierci dai guai, ma “solo” per riconoscerci la libertà di uscirne. Il Dio cristiano riconosce la libertà umana, non la sostituisce. Ed è forse di qui che occorre partire ogni giorno, ogni Natale, ogni inizio d’anno per ritessere pazientemente i fili di significato della nostra presenza nel mondo e per provare a scrutare dal Monte Nebo le luci sempre lontane di Gerusalemme. Se “nessuno ci forma di nuovo, traendoci fuori da terra e fango”, se “nessuno parla alla nostra polvere” – così Paul Celan -, se nessuno possiede la mappa del tempo a venire, che cosa possiamo fare qui e ora?

Quattro attualissimi consigli di san Benedetto

Dalla grande tradizione cristiana ci arrivano quattro consigli della Regola di San Benedetto, un fondatore della civiltà europea, buoni non solo per i monaci, ma anche per laici, credenti e non credenti.  Il primo: “Ora!”. Nella preghiera c’è la presa d’atto e la confessione della propria finitudine, la sconfessione della pretesa di onnipotenza. Il mondo e la storia sono eccedenti rispetto alla nostra biografia. Il secondo: “Labora!”. Assumiti le tue responsabilità, fondate sulla tua libertà, in ordine al miglioramento del mondo. Il terzo: “Conversatio”. È la disponibilità a cambiare abitudini e stili di vita, in coerenza con l’Ora et Labora. Il quarto: “Stabilitas loci”. Era il no al vagabondaggio da un convento all’altro e, oggi, il no al surfing su esperienze e emozioni virtuali, sempre diverse, senza costruire un’unità interiore, senza prendere radici con persone e cose “in situazione”, senza fare  i conti con le responsabilità personali del presente storico. Basterà seguire questi consigli per aggiustare il mondo? Forse no, ma è pur sempre un piccolo “nuovo inizio”… E questo è la speranza vivente e in atto.