Le Ong, le accuse, la rabbia. E quel social manager dell’Unicef in trincea su Twitter per spezzare la violenza della post verità

Tra le notizie più strillate degli ultimi giorni c’è quella del presunto coinvolgimento delle Ong nel traffico di esseri umani condotto dagli scafisti. Le organizzazioni non governative che si occupano di accogliere e assistere i migranti, si sono trovate improvvisamente all’indice, oggetto di un’isterica ostilità collettiva. Senza distinzioni.
Non possiamo occuparci qui della validità dell’inchiesta e delle accuse formulate oggi per la prima volta formalmente dal pm di Catania verso la prima Ong, perché in questo momento non abbiamo ancora gli elementi per farlo, per ora ci colpisce che il reato ipotizzato accanto a quello di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina sia quello di “missione navale umanitaria non richiesta”. Ci colpisce anche la scarsa chiarezza e il tira-e-molla sui rapporti dei servizi segreti che dovrebbero contenere gli elementi di accusa.
Roberto Saviano ha scritto su La Repubblica che “Sulla pelle e sulla vita delle persone non si specula e se lo si è fatto – per una manciata di voti o per un po’ di visibilità – se ne dovranno pagare le conseguenze, a tutti i livelli”. E noi riteniamo che abbia ragione.
Le osservazioni che ci sentiamo di fare riguardano però soprattutto il tono e lo stile delle polemiche innescate non tanto tra i politici e gli addetti ai lavori, ma tra la gente comune: hanno offerto un’occasione per emergere alle peggiori paure sull’immigrazione, stereotipi, razzismo, ironia di bassa lega.
In questo quadro desolante, che riporta al centro con forza la questione dell’utilizzo e della degenerazione delle cosiddette “piazze virtuali”, spicca, e sono stati in molti a notarlo, il lavoro del social media manager di Unicef. Da giorni su Twitter si impegna a rispondere puntualmente, a volte in modo fermo e secco ma sempre garbato anche alle peggiori provocazioni del cosiddetto “popolo della rete”. Molti l’hanno chiamato “eroe”, anche Jovanotti lo rilancia, tutti ormai pensano che l’Unicef stia dando una grande lezione di come si sta sui social.
Il social media manager dell’Unicef si chiama Alberto, è un professionista esperto, ha 50 anni: si è sentito di rispondere a tutti gli attacchi, di reagire, senza stancarsi, per non abbandonarsi alla deriva della comunicazione ostile, a una violenza di massa, che, rendiamocene conto, finisce di avere effetti peggiori di qualsiasi male denunci. Anche nei casi in cui alla base c’è della verità.
A proposito di questo, le risposte servono anche e soprattutto a ristabilire la correttezza dell’informazione, a far capire alle persone, almeno a quelle più attente, che non basta fare i brillanti in 140 caratteri per dimostrare di aver capito un argomento, anzi spesso si dimostra soltanto di non averne capito proprio nulla. L’ostilità e l’ignoranza, per di più, non sono soltanto forme di violenza, ma finiscono, come in questo caso, per costruire una realtà alternativa, che entra nel mondo, tanto citato ormai anche dagli studiosi di comunicazione, della “post-verità”: una condizione che non si può accettare e subire. Vale la pena di scendere in trincea e combatterla, come sta facendo l’Unicef, stando sui social per davvero. Anche solo per dare il segno che ci sono orizzonti più grandi, idee più profonde, che il mondo non è fatto soltanto da chi vuole criticare e demolire a tutti i costi. Se qualcuno spezza il cerchio, anche la maggioranza silenziosa dei “saggi” può trovare lo spazio per farsi sentire.