Il ritratto del nuovo arcivescovo di Milano Mario Delpini: «Umile e ironico, per lui la sobrietà è una regola di vita»

Paolo Rodari, vaticanista di “Repubblica”, nella biografia “Mario Delpini” (Piemme 2017, pp. 168, 15,90 euro) racconta “La vita, le idee e le parole del nuovo Arcivescovo di Milano”, come recita il sottotitolo del testo, scelto da Papa Francesco per succedere al Cardinale Angelo Scola.
Delpini, 66 anni, nato a Gallarate in provincia di Varese il 29 luglio 1951 «terzo di sei figli», fino al 7 luglio scorso vicario generale della Chiesa milanese, da ieri 24 settembre si trova sulla cattedra di Sant’Ambrogio. La più grande Diocesi del mondo sarà retta da un «attento lettore della realtà», da «un uomo per il quale la sobrietà è una regola di vita, un vero prete ambrosiano, sensibile, umile e ironico», secondo la definizione di Delpini che Rodari traccia in queste pagine.
Il giornalista/scrittore, da noi intervistato, ricostruisce il percorso umano e spirituale del 144° arcivescovo di Milano, che già si annuncia per carattere e modo di fare come un “grande vescovo”.
Dopo i cardinali Martini, Tettamanzi e Scola, Bergoglio ha nominato come pastore della Diocesi ambrosiana l’ex rettore del seminario superiore di Venegono. Una nomina in linea con le ultime scelte del Pontefice?
«Mi sembra di sì. Nel senso che le scelte del Papa a mio avviso sono tutte nel segno di pastori semplici e vicini alla gente loro affidata. Delpini, come tanti altri sacerdoti divenuti vescovi, è un uomo del popolo, che quando parla comunica il messaggio evangelico senza fronzoli o grandi elucubrazioni teologiche, un prete che ascolta i suoi fedeli e che sa farsi ascoltare da loro».
«Figura spirituale», sacerdote dedito alle famiglie e agli ultimi, vescovo mite e lontano dall’identikit del manager e che preferisce girare per Milano in bicicletta. Chi è Mario Delpini?
«Qui è meglio lasciar parlare lui. Di sé ha raccontato pochi minuti dopo l’annuncio della nomina ad arcivescovo di Milano, quando ha detto: “Conosco abbastanza la Diocesi per rendermi conto che per continuare questa storia di santità ci vorrebbe un vescovo santo. Io invece percepisco tutta la mia mediocrità. Ho quindi bisogno di essere accompagnato e sostenuto da molta preghiera e da quella testimonianza di santità operosa fino al sacrificio, discreta fino al nascondimento, docile fino alla dimenticanza di sé che è tanto presente nel popolo ambrosiano”».
Il “cursus honorum” di Monsignor Delpini, che ha preso possesso della Diocesi il 9 settembre e ha fatto l’ingresso ufficiale due settimane dopo, è completamente ambrosiano. Ce ne vuole parlare?
«Come in tempi recenti soltanto Giovanni Colombo prima di lui, Delpini è divenuto arcivescovo senza mai aver assunto incarichi fuori dalla diocesi. Ha frequentato il liceo classico in seminario, a Venegono, dove poi ha anche insegnato una volta ordinato prete. Si è laureato in lettere alla Cattolica con una tesi su “La didattica del latino come introduzione alla Esegesi dei classici”. Poi la licenza in teologia presso la Facoltà teologica dell’Italia settentrionale. Quindi gli anni a Roma ma soltanto per studiare patristica. Fino al ritorno a Milano dove si è dedicato all’insegnamento della lingua greca e della patrologia presso i seminari di Seveso e di Venegono. Rettore del seminario, diviene poi vicario episcopale della zona pastorale VI. Infine, vescovo ausiliare e vicario generale. È, insomma, un percorso tutto ambrosiano, un uomo dunque che conosce bene la diocesi e che della stessa diocesi è in qualche modo figlio».
«Siamo chiamati a costruire una città nuova, capace di immaginare come sarà il vivere assieme a una popolazione composita, costruendo una appartenenza unitaria. Chiedo che nessuno si senta straniero e discriminato» ha chiarito Don Mario (come lo chiamano i suoi preti) il giorno dell’annuncio ufficiale della sua nomina. Quali sono le maggiori sfide che attendono l’Arcivescovo Delpini?
«Delpini ha detto di non avere particolari progetti. Ciò significa che la sfida non sarà altro che quella di sempre, vivere il Vangelo e comunicarlo. Certo, Milano è una diocesi che soprattutto sul tema dell’accoglienza ha tanto da dire. In città esistono come due anime, una più chiusa e introversa, un’altra più aperta. È questa seconda che guarderà con fiducia a Delpini. È a lei che Delpini chiederà aiuto per sconfiggere la paura del diverso e ogni chiusura preconcetta».
Al termine del libro vi sono alcune riflessioni che Delpini ha scritto nei suoi anni di sacerdote e poi di vescovo ausiliare in Diocesi, che sono state composte in forma di poesia. Possiamo considerarle come base, linee guida del suo episcopato?
«Possiamo considerarle come uno spaccato importante della sua personalità. Un vescovo riservato che tuttavia accetta di esprimersi in più modi, anche con la poesia. Delpini è se stesso fino in fondo sempre, quando predica e anche quando scrive poesia. È questa forse la sua caratteristica principale, il suo essere se stesso, genuino».
In una nota Monsignor Delpini, manifestando il suo cordoglio per la scomparsa del Cardinale Dionigi Tettamanzi avvenuta lo scorso 5 agosto, ha espresso gratitudine nei suoi confronti per l’armonia della sua personalità, per il suo magistero e l’empatia con la gente. L’eredità dell’ex Arcivescovo di Milano costituirà un esempio per Delpini?
«Non credo vi sia un predecessore cui si rifà più di altri. Come ha detto lui stesso presentandosi alla Diocesi, lui è semplicemente Mario. Credo che prenderà il meglio di ognuno dei suoi predecessori, soprattutto gli ultimi, Scola, Tettamanzi e Martini ma sarà fino in fondo se stesso».

Foto Siciliani-Gennari Sir