L’appello dell’associazione “La Tenda di Amal”: non demolite la scuola delle gomme

Se nei prossimi giorni la scuola di gomme sarà veramente demolita, credo che un po’ di speranza lascerà questo mondo. Il decreto della Corte Suprema israeliana è stato emesso il 24 maggio e ora pende ostile sul futuro della piccola scuola primaria e su tutto il l villaggio beduino di Khan al Ahmar.

Fin dalla sua nascita, la piccola scuola creata con materiale di riciclo, tra cui più di 2000 pneumatici, è stata minacciata da continui ordini di demolizione, costantemente sospesi e rinviati, fino alla delibera della scorsa settimana. Creata nel 2009 grazie alla ONG milanese «Vento di Terra» su progetto dello Studio ARCò, la scuola rappresenta un esempio unico di architettura bioclimatica. Negli anni è stata finanziata dalla Cooperazione Italiana del Ministero degli Esteri, dalle Agenzie ONU, dall’Unione Europea, dalla Conferenza Episcopale italiana e da numerose associazioni, tra le quali molte italiane, che hanno creduto nel progetto, avendo a cuore il diritto allo studio di ben 160 bambini. Con il tempo, è diventata un simbolo di speranza per i beduini della comunità Jahalin stanziata nel così detto «Corridoio E1», la striscia di terra che collega Gerico e Gerusalemme Est, parte dell’Area C; più ancora, rappresenta la difesa dei diritti del popolo beduini e la resistenza all’occupazione israeliana, sempre più pressante anche attraverso la presenza della vicina colonia Maale Adumim, la cui crescita ha costretto il trasferimento e della popolazione beduina residente in quella terra.

Israele ha giustificato l’ordine di demolizione definendo poche sicure le case dei villaggi beduini e illegale il villaggio di Khan al-Ahmar perché creato senza permessi di costruzione – un tipo di autorizzazione che per i palestinesi abitanti nell’Area C è concretamente impossibile da ottenere. Inoltre, ha rassicurato che la comunità potrà disporre di alloggi e infrastrutture, tra le quali anche una scuola, nella zona di Jahalin West e nel comune di Al Azariya, a 8 km di distanza. Una scelta rigettata dalla comunità di Khan al Ahmar perché non tiene conto dello stile di vita dei beduini e del rapporto che hanno con il deserto: la nuova area ha caratteristiche urbane, quindi ben lontana dal favorire e ospitare le tradizioni del popolo nomade beduino, ed è prossima alla principale discarica di Gerusalemme, attualmente in uso. Un luogo quindi del tutto inadatto alla cultura desertica dei beduini.

In Italia è stato lanciato un appello dalla «Società Civile per la Palestina», una rete di quindici associazioni italiane che lottano perché vengano riconosciuti i diritti dei palestinesi. Tra queste, ha aderito anche «La Tenda di Amal», l’associazione bergamasca nata dall’unione di più gruppi operanti sul territorio per sensibilizzare sulla questione israelo-palestinese. Proprio uno dei progetti che sta più a cuore all’associazione è la raccolta fondi «Tutti a scuola in Terra Santa», lanciata nel 2013 per sostenere 11 scuole dei villaggi della comunità beduina.

«Si tratta di salvaguardare i diritti fondamentali di una comunità originaria del Negev, dal quale fu fatta evacuare forzatamente nel 1950 – si legge nell’appello lanciato dalla Società-. Una comunità residente nell’area prima dell’occupazione militare e civile israeliana iniziata nel 1967 e che sopravvive in una situazione di estrema indigenza. Il Corridoio E1 a est di Gerusalemme è ritenuto una priorità strategica dal Governo israeliano, che vi sviluppa un’intensa opera di colonizzazione in favore di cittadini israeliani confiscando territorio palestinese. Facciamo appello al nascente Governo Italiano, alle istituzioni dell’Unione Europa, alle Nazioni Unite, a tutte le forze della società civile e alle agenzie internazionali perché facciano pressione sul Governo israeliano affinché la demolizione della scuola e la deportazione della comunità, che avverrebbero in violazione delle leggi internazionali e della Conferenza di Ginevra, non siano rese esecutive».

L’ordine di demolizione potrà concretizzarsi nei primi giorni di giugno. C’è ancora tempo, seppure poco, per far sentire la nostra voce, per far risuonare il nostro NO, attraverso la condivisione dell’appello della Società Civile per la Palestina e la firma sulla petizione lanciata da Vento di Terra su Change.org.

Nel Corridoio E1 non ci sono solo polvere e sabbia, ma c’è anche un popolo che cerca di far valere il proprio diritto ad esistere vivendo secondo le proprie tradizioni. Si dice che i bambini siano il futuro del mondo: ricordiamolo a chi vuole demolirlo.