Papa Francesco e la “santità della porta accanto”

Immagine: un’opera di Maurizio Bonfanti

Nei giorni delle feste per la solennità dell’Apparizione nella mia parrocchia nativa di Santa Caterina e nella successiva settimana di vacanza in montagna con la mia famiglia, mi sono dedicato a rileggere con attenzione l’esortazione apostolica Gaudete et Exsultate di Papa Francesco, che in questo scritto ha voluto mettere a tema la chiamata alla santità nel mondo contemporaneo. Il tema della chiamata alla santità come cammino richiesto ad ogni uomo non è nuovo: già il Concilio Ecumenico Vaticano II aveva esplicitato questo aspetto e aveva speso parole importanti e molto significative sul tema.

La santità non è una cosa strana

Tuttavia, trovo che il papa abbia scelto bene nel riproporre all’attenzione della Chiesa la centralità del cammino di santità in un tempo radicalmente diverso da quello di mezzo secolo fa, quando il Concilio terminò. Un aspetto in particolare mi ha colpito e, per questo, ne ho fatto oggetto di meditazione personale: il concetto di “santità della porta accanto”. Potremmo tradurlo così: la santità, dono dello Spirito Santo, è presente nella vita della gente quando questa, con fede, vive la sua vita, con le sue gioie e i suoi dolori, lasciandosi plasmare dal soffio dello Spirito. Non che il Papa abbia detto qualcosa di nuovo con questo: forse, semplicemente serviva a me di riscoprirlo, leggendolo così come Francesco lo ha esplicitato. Soprattutto, ho avuto la percezione di conoscere molti santi, cosa che non avevo mai avuto. Non voglio procedere con canonizzazioni personali o dettate da legami affettivi, intendiamoci, tuttavia mi sono detto: quante persone vivono con fede la loro quotidianità e in questo modo fanno bene alla mia fede!

I molti santi che non sono sugli altari

Penso a tante mamme che la sera, stanche per il lavoro, non mancano di sedersi accanto ai figli per stare con loro, giocare, aiutarli nei compiti. Penso a tanti papà che ho visto piangere per la paura di non riuscire a mantenere le loro famiglie che, tornando a casa, sorridevano ai loro figli perché non si accorgessero della difficoltà del periodo. Penso a volontari dei miei oratori che stanno continuando, nonostante la malattia e la pesantezza delle cure, a regalare tempo alle generazioni che crescono. Penso a quelle che chiamo “le mie nonne”, che visito mensilmente a Telgate: entro a casa loro talvolta nervoso per una attività non andata come volevo, per il gruppetto di adolescenti che combina guai in Oratorio, per voci poco simpatiche sentite per strada sull’Oratorio, su di me o sul parroco: loro, le mie nonne, spesso sole, mi aspettano e pregano, anche per me. E sorridono. Tante volte, penso, abbiamo fretta di giudicare le persone, e non sappiamo nulla di quanto stanno vivendo.

Mi viene in mente una frase che ci disse in conclusione di una settimana di formazione per giovani preti il nostro Vescovo Francesco. Gli era stata consegnata su un manifesto da un amico quando, da curato, venne per lui il momento di cambiare parrocchia. La frase, bellissima, che non ho più dimenticato, recita così: “Abbiamo imparato a calcolare quanto porta il ponte di una nave, ma non quanto portano le spalle di un uomo”. A volte mi commuove ripensare a questa frase: spesso non mi accorgo, ma cammino accanto a uomini e donne i cui nomi non saranno forse mai scritti sui libri di storia o di teologia, ma che sono santi perché pieni di Dio.