«Il fascismo non è stato una parentesi nella storia italiana, ha influenzato la nostra cultura». Un corso a tema al Mascheroni

“Fascismo, fascismi, nuovi fascismi tra storia, storiografia e problemi di didattica” è il titolo del ciclo di incontri, partito il 15 febbraio scorso, promosso e organizzato dal Museo delle storie di Bergamo, l’Associazione Amici del Museo storico, la Fondazione Serughetti La Porta e l’Ufficio Scolastico Territoriale, in collaborazione con il Liceo Lorenzo Mascheroni.
Si tratta di un percorso d’approfondimento di particolare interesse e rilievo, utile per sviluppare a scuola percorsi di cittadinanza attiva e consapevole, sulla scia della proficua e felice collaborazione che ha portato già, negli anni scorsi, alla proposta di corsi di aggiornamento sulla storia dell’Ottocento e del Novecento, caratterizzati sempre da un positivo riscontro per gli organizzatori. Anche quest’anno infatti i numeri sono ottimi, con già trecento adesioni da parte di docenti di scuole medie e superiori, di studenti liceali e di quanti interessati alla tematica.
L’obiettivo del corso è quello di indagare i caratteri antropologici del fascismo italiano, comparandolo ai regimi coevi di cui fu ispiratore, nonché di interrogarsi sui nuovi fascismi e sull’attrazione che l’ideologia neofascista sembra esercitare in diverse parti d’Europa.
Alle sette lezioni, affidate a docenti universitari di diversi atenei italiani, seguirà il 5 aprile un laboratorio sulle fonti organizzato dai Servizi educativi del Museo delle Storie di Bergamo, in collaborazione con Fondazione Dalmine.
Tra i vari relatori che si avvicenderanno presso l’auditorium del Liceo Mascheroni c’è lo storico contemporaneo Claudio Vercelli, docente a contratto all’Università Cattolica di Milano e ricercatore presso l’Istituto Salvemini di Torino.

Qual è l’obiettivo del corso? Come rendere questo argomento attuale e vicino ai giovani di oggi?
La lezione del 15 febbraio, dal titolo “Uomo nuovo, servitù antiche: il fascismo come regime di uniformazione collettiva”, è stata il tentativo di mettere a fuoco il fenomeno fascista, che va dal ’22 al ’43, non da un punto di vista strettamente storico ma usando una prospettiva antropologica e storiografica. Ovvero esaminando le categorie mentali, i modi di ragionare, le opinioni ma soprattutto le strutture profonde di pensiero che hanno accompagnato il radicarsi del fascismo come movimento prima e regime poi, condizionando l’atteggiamento e le condotte di comportamento della società italiana. Non è stata tanto una riflessione sulla cultura del fascismo, quanto sulle modalità di intendere e definire l’identità fascista stessa, come espressione politica e come movimento che ha coinvolto la collettività. Insomma, abbiamo lavorato sul pensiero fascista con un ragionamento politologico ma anche culturale, in cui si è usata l’analisi critica di alcune fonti letterarie e iconografiche, dando particolare risalto al progetto antropologico di costruzione dell’ “uomo nuovo”.

Quali sono i meccanismi di formazione dell’identità che portarono il fascismo ad affermarsi in Italia?
Il fascismo italiano si presentò fin da subito come un fenomeno ideologico e politico dai tratti rivoluzionari, in grado di incidere tanto sulle identità collettive quanto su quelle individuali: recuperò alcune suggestioni derivanti dalla Grande Guerra ma ne elaborò anche di inedite, diventando così il paradigma di riferimento al quale si ispirarono anche altri movimenti e regimi europei. Il progetto di costruzione dell’ “uomo nuovo” immaginava infatti un intervento di profonda modificazione dei caratteri degli italiani, di pari passo con l’emarginazione e l’eliminazione del “diverso” attraverso strumenti come il controllo poliziesco, il confino o il Tribunale speciale. L’obiettivo della repressione fascista divenne quindi chiunque non rientrasse nel paradigma dell’italiano nuovo a partire dalle minoranze nazionali che abitavano quelle terre di confine entrate a far parte del Regno dopo la prima guerra mondiale.

Al corso lei parlerà anche dei “nuovi fascismi”, può anticiparci di che cosa si tratta?
La mia seconda lezione, dal titolo “I nuovi fascismi e didattica del fascismo”, riguarderà ciò che è rimasto dopo il ’43 dell’esperienza del regime fascista e ciò che si è prodotto di inedito nei movimenti neofascisti presenti in Italia, dal dopoguerra ad oggi. L’obiettivo delle comunicazioni ai docenti, in questo secondo caso, è fornire materiale di valutazione su categorie di pensiero legate al perdurare di un fascismo molto più ai margini, più clandestino e di natura diversa da quello del regime ma che comunque ha accompagnato come una sorta di ombra la storia repubblicana. La rinascita in Italia e in Europa di gruppi politici che si richiamano in modo esplicito all’ideologia fascista, riprendendone simboli e valori, impone anche una riflessione sulla didattica: in molte classi infatti gli insegnanti si trovano a confrontarsi con studenti pericolosamente attratti dai gruppi neofascisti.

Che invito si sente di dare perciò a docenti e studenti?
Il fascismo deve essere affrontato come un fenomeno che ha lasciato un calco profondo nella storia del nostro paese, modellandone alcuni tratti che sono andati oltre la durata stessa del regime. Spero che da questo ciclo di incontri passi il messaggio che il fascismo va esaminato con massima attenzione e serietà: non può essere liquidato come una parentesi occasionale della nostra storia o, peggio ancora, indagato superficialmente, solo con un giudizio di valore, poiché in questo modo non si risolve minimamente la complessità della questione. Il fascismo infatti ha contribuito a generare una nazionalizzazione delle masse, a creare una identità che influisce ancora sulla società italiana, seppure in maniera indiretta e traslata. Pertanto è necessario affrontarlo non come un fenomeno ridottosi nel corso del tempo e poi esauritosi del tutto, ma con robusti riverberi ancora nel presente, come nel caso dei movimenti neofascisti. Non è stato infatti qualcosa di meramente fine a se stesso. Il mio invito a studenti e docenti è perciò quello di provare a cogliere gli elementi di quel passato rimasti all’interno della nostra storia, che come tale va studiata nel suo complesso, senza però arrivare subito a delle conclusioni affrettate e liquidatorie.