“Oltretevere” (Piemme 2018, Collana “Religione e Spiritualità”, Prefazione di Paolo Mieli, Postfazione di Giuliano Amato, pp. 576, 24 euro), di Alessandro Acciavatti esamina “Il rapporto tra i Pontefici e i Presidenti della Repubblica Italiana dal 1946 a oggi”, come recita il sottotitolo del testo. Il Colle Quirinale, uno dei sette colli su cui fu fondata Roma, ospita il Palazzo del Quirinale, residenza ufficiale del Presidente della Repubblica Italiana. Sul colle Vaticano alla riva destra del Tevere, un tempo facente parte del Rione Borgo, vi è lo Stato della Città del Vaticano, il più piccolo stato sovrano del mondo, con a capo il Papa della Chiesa cattolica, leader religioso ma anche Capo di Stato. Dal ‘46 a oggi, oltretevere si sono succeduti sei pontefici escluso Papa Luciani che si sono incontrati con i rispettivi dodici presidenti della Repubblica. Ciascun incontro è stato definito come “buono”, “cordiale”, il testo di Acciavatti va oltre i semplici incontri, analizzando con rigore scientifico le relazioni tra il Vaticano e il Quirinale, e scambi che sono sempre avvenuti incastonati nelle vicende politiche che stava vivendo il nostro Paese.
Il volume contiene le testimonianze inedite di Papa Francesco, Papa Benedetto XVI, Giorgio Napolitano, Marcello Pera e Pier Ferdinando Casini, documentazioni inedite di straordinario valore storico, fra cui alcune pagine dalle agende private del Presidente Carlo Azeglio Ciampi.
Abbiamo intervistato l’autore. Nato nel 1984, Acciavatti ha conseguito una laurea in giurisprudenza, vive a Lanciano in provincia di Chieti, si dedica da sempre allo studio della storia delle istituzioni e a diffonderne la cultura, e nel 2015 ha ricevuto dal Presidente Sergio Mattarella le insegne di Cavaliere OMRI, per il suo impegno sui temi della legalità e della formazione alla cittadinanza attiva.
Finora non c’era mai stata un’opera che affrontasse in modo completo le relazioni intrecciatesi tra i colli Quirinale e Vaticano nei settanta anni di vita della Repubblica Italiana. “Oltretevere” colma questa lacuna?
«Sì, il volume colma questa lacuna, perché non vi erano studi completi su questa materia. Il libro non è solo il semplice racconto di uno scambio di visite ma tramite esse ci racconta la storia della giovane Repubblica Italiana e della Santa Sede».
Il libro ha il merito di essersi avvicinato alla figura del Pontefice ponendone in luce la prerogativa d’essere Capo di Stato. Ce ne vuole parlare?
«Ho voluto porre in luce la qualità del Pontefice come Capo di Stato, ma ciò non mette minimamente in ombra la sua qualità di capo religioso. È opportuno evidenziare la qualifica di Capo di Stato del Pontefice, perché la sua figura diventa ancora più interessante per chi non ha fede. Molto spesso gli studi dedicati alla figura pontificia non mettono in luce che è proprio grazie alla qualità di Capo di Stato che il Papa può agire positivamente per il bene del mondo nello scacchiere internazionale. Pensiamo all’incontro avvenuto l’8 giugno 2014 in Vaticano tra Francesco, i due presidenti israeliano e palestinese e il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I, dove hanno invocato la pace in Terra Santa. Incontro storico voluto da Bergoglio, il quale ha potuto invitare i leader proprio perché è un Capo di Stato. Un altro leader religioso, per esempio il Patriarca di Mosca non avrebbe potuto farlo. Lo stesso Paolo VI, parlando all’assemblea dell’Onu nell’ottobre del 1965, disse: “Questo incontro, voi tutti lo comprendete, segna un momento semplice e grande. Semplice, perché voi avete davanti un uomo come voi; egli è vostro fratello, e fra voi, rappresentanti di Stati sovrani, uno dei più piccoli, rivestito lui pure, se così vi piace considerarci, di una minuscola, quasi simbolica sovranità temporale…”. Ed è vero, è proprio quella sovranità temporale, per quanto minuscola, che dà il titolo al Pontefice e alla Città del Vaticano a sedere nei più prestigiosi consessi internazionali per dare un contributo alla politica internazionale. Il Pontefice sarà sempre ricevuto con tutti gli onori dovuti a un Capo di Stato ed è con quell’autorevolezza che sarà ascoltato dai grandi del Pianeta».
I Patti Lateranensi sono alla base dei rapporti tra l’Italia e la Santa Sede sin dal primo incontro tra “il principe romano” Eugenio Maria Giuseppe Pacelli, Papa Pio XII, e l’avvocato napoletano Enrico De Nicola, eletto Capo provvisorio dello Stato il 28 giugno 1946?
«Innanzitutto spieghiamo cosa sono i Patti Lateranensi. I Patti Lateranensi sottoscritti tra il Regno d’Italia e la Santa Sede l’11 febbraio 1929, sono composti da tre documenti: il Trattato, riconosce l’indipendenza e la sovranità della Santa Sede che fondava lo Stato della Città del Vaticano, il Concordato, che sarà modificato nel 1984, che definiva le relazioni civili e religiose in Italia tra la Chiesa e il Governo e la Convenzione finanziaria che prevedeva un risarcimento di 750 milioni di lire a beneficio della Chiesa, regolava cioè le questioni sorte dopo le spoliazioni degli enti ecclesiastici a causa delle leggi eversive. Alla Santa Sede premeva più la conferma dei Patti Lateranensi che non la questione istituzionale, vale a dire se al vertice dello Stato italiano ci fosse un Re o un Presidente. Il mantenimento in vigore dei Patti Lateranensi consentiva a Pio XII di avere una forte influenza sullo Stato Italiano, perché all’epoca con i Patti Lateranensi la religione cattolica era quella ufficiale del Regno, questo poi sarà modificato nel 1984 con l’Accordo di Villa Madama. Papa Pacelli ricevette per ben due volte nel giro di pochi giorni, nel giugno del 1946, Umberto II, prima della partenza dell’ex sovrano per l’esilio. Alcuni dicono che Pacelli trovò addirittura 50 milioni di lire per consentire a Umberto II la sua permanenza all’estero, in Portogallo. Quegli incontri non erano altro che atti di riguardo che il Papa faceva nei confronti di un esponente di Casa Savoia, un ex giovane sovrano incolpevole per le colpe del padre Vittorio Emanuele III».
Il pontificato di Albino Luciani, Papa Giovanni Paolo I (1912 – 1978) è durato solo trentatré giorni, dal 26 agosto al 28 settembre 1978. Ci fu il tempo per un minimo di relazioni tra il nuovo papa e il Capo dello Stato di allora?
«Ci fu tra Pertini e Luciani uno scambio di telegrammi: il Presidente Pertini come da consuetudine inviò a Giovanni Paolo I un telegramma nel quale augurava al papa un lungo pontificato, augurio che poi non ha ripetuto nel successivo telegramma a Giovanni Paolo II, ritengo per ragioni scaramantiche».
L’8 luglio 1978 Sandro Pertini, ex capo partigiano, membro dell’Assemblea Costituente, ex Presidente della Camera e socialista “dalla fede purissima”, è eletto al vertice dello Stato. Il 1978 è l’anno dei tre Papi: Giovanni Battista Montini, Albino Luciani e il polacco Karol Wojtyla. Con quest’ultimo Pertini instaurerà un rapporto di amicizia e stima reciproca. Che cosa legava entrambi, così diversi per formazione?
«Faccio una piccola premessa: Sandro Pertini incontrò il 3 agosto 1978, Papa Paolo VI, tre giorni prima della sua morte. Pertini ebbe con Montini un incontro breve e intenso che segnò profondamente il Presidente, il quale capì, nonostante il Papa cercasse di dissimulare, che Paolo VI non stava bene, e quindi Pertini si preoccupò di non stancarlo. Sarebbe interessante indagare il rapporto tra queste due persone così diverse che si sono incontrate solo per un attimo sul palcoscenico della Storia. Tornando a Pertini e a Wojtyla. Cosa li legava? Innanzitutto la venerazione che entrambi avevano per la figura della madre. Karol Wojtyla non ha quasi conosciuto sua madre, però rimase colpito dall’intensità del rapporto che univa Pertini a sua madre Maria Muzio e ci si ritrovava molto. Questa venerazione per la figura materna, Wojtyla la trasferì sul piano religioso con la sua nota venerazione mariana. Pertini e Giovanni Paolo II erano due patrioti, due persone profondamente innamorate della loro Nazione e della loro fede. Entrambi credevano in una fede, Pertini credeva nella sua fede socialista, Wojtyla nella sua fede religiosa, ma l’intensità e la passione in cui ci credevano era la medesima. Inoltre entrambi erano due persone dal carattere aperto, allegro, al punto che decisero di trascorrere una giornata di vacanza insieme. Wojtyla avrebbe sciato, sulle nevi dell’Adamello il 16 luglio 1984. “Volteggiava come una rondine”, disse Pertini ricordando quelle ore».
Papa Benedetto XVI e Giorgio Napolitano. Furono relazioni profonde quelle tra il papa tedesco e il primo ex comunista al Quirinale?
«Profondissime, questo risulta dalle pagine del mio libro che ha due inediti preziosi da questo punto di vista: c’è sia un’intervista del Presidente Napolitano e appare un ampio contributo del Pontefice Emerito, da cui si evince addirittura che Benedetto XVI pochi giorni prima di comunicare al mondo la notizia della sua rinuncia al pontificato la comunicò riservatamente a Napolitano a margine di un concerto. Era il 4 febbraio 2013, Ratzinger comunicò la notizia al mondo il giorno 11. Questo fa capire anche il grado d’intimità e di confidenza che avevano, confermato anche dal fatto che le due autorevoli personalità continuano a frequentarsi. Si può parlare di vera amicizia non basata sulla condivisione di una fede religiosa ma sulla condivisione d’ideali comuni: l’amore per l’Europa, l’interesse per il destino del mondo e l’amore profondo per la cultura. Sono entrambi convinti che la cultura sia il primo campo d’incontro tra credenti e non credenti».
Sul rapporto tra Papa Francesco e Sergio Mattarella, attuale Presidente della Repubblica Italiana, è lo stesso Bergoglio che in una sua lettera presente nelle pagine del saggio tra le testimonianze inedite, manifesta l’auspicio per un Tevere né più stretto né più largo ma semplicemente più “navigabile”. Che cosa ne pensa?
«Condivido l’appello del Pontefice. Bergoglio scrive che il Tevere deve essere navigabile in un senso e nell’altro, per permettere alle barche “ampi margini di manovra e di libertà e al medesimo tempo consente una fitta e costante rete di comunicazioni”. Ancora un richiamo, tipico del magistero di questo Pontefice, al dialogo con tutti, ovviamente anche con i presidenti italiani, dapprima con Napolitano e ora con Mattarella. Non si può parlare di amicizia tra Bergoglio e Mattarella come quella instaurata tra Ratzinger e Napolitano, si può però parlare d’identità di vedute sui comuni dossier, che in questo periodo sono al centro del pubblico dibattito in Italia, in Europa e nel resto del mondo. Durante l’ultimo consueto messaggio di fine anno, il Presidente Mattarella ha inviato un saluto calorosissimo al Pontefice, messaggio ricambiato da Francesco durante l’Angelus del 1° gennaio 2019 con parole tanto calorose, che mai si erano udite prima in bocca a un pontefice, rivolte a un Presidente della Repubblica Italiana. C’è tra Bergoglio e Mattarella stima personale ma anche stesse identità di vedute. Entrambi guardano al mondo con un comune sentire, pensiamo ai discorsi pronunciati durante le rispettive visite ufficiali al Quirinale e in Vaticano».