La storia di Dorothy Stang, prima martire del creato a fianco degli “ultimi della terra”

«Se il chicco di frumento, caduto a terra, non marcisce,  non può portare frutto» (cfr. Gv 12,24).

La prima martire del creato

Dorothy ha il presentimento che qualche cosa di inconsueto oggi debba capitare. Prega. Poi dice agli amici che, se qualche cosa di brutto dovesse accadere, sia lei la vittima e non chi ha una famiglia. Intuisce l’incombere della sua “ora”, che per il credente è morte e risurrezione. Sa di essere nella lista della morte. Benché sconsigliata, si reca in soccorso di una famiglia povera, angariata dai latifondisti. Alcune ore di cammino, sotto la pioggia. Due uomini armati le sbarrano la strada. Le chiedono se abbia un’arma. Ella estrae la Bibbia dalla sua povera borsa di plastica: «Questa è la mia arma». La apre e legge le Beatitudini. Sei colpi di pistola. Poi la fuga dei due killer.

Dorothy Stang – conosciuta da tutti come Irmã Dorote – nasce negli Stati Uniti d’America,  a Dayton (Ohio), il 7 giugno 1931.  È la prima martire del creato. Missionaria della congregazione delle Suore di Nostra Signora di Namur, sogna di vivere a fianco degli “ultimi della terra”, per difenderli dalle atroci ingiustizie inflitte dai ricchi, dai prepotenti, dai latifondisti.

Nel 1953 risponde ad un appello della responsabile della sua congregazione, la quale chiede chi sia disposta a recarsi in missione nell’Amazzonia. Parte. Si mette alla scuola dei popoli impoveriti. Studia usi, costumi e leggi brasiliane, per essere in grado di rendere coscienti i contadini e i lavoratori della foresta che hanno dei diritti, oltre che dei doveri. In linea con gli orientamenti del Concilio Vaticano II riguardo agli impegni che il laico deve assumersi nella Chiesa e nella società, si adopera con tutte le sue forze perché i cristiani abbiano spazi concreti in cui agire, emergere ed esercitare la loro vocazione ad essere “profeti, sacerdoti e re”, vivendo a fondo il loro Battesimo.

Le sue idee e la scelta preferenziale per i poveri sono rafforzate dalla Conferenza dei Vescovi dell’America Latina – tenutasi a Medellín, in Colombia, nel 1968 – dove si prende posizione contro «una violenza istituzionalizzata». Grazie a questa scelta coraggiosa, la Chiesa passa decisamente da un tipo di religione celebrata dalla liturgia ad una spiritualità centrata sulla necessità di essere voce profetica e promotrice di giustizia sociale.
Naturalmente, i ricchi latinoamericani accusano la Chiesa di essere caduta in mano al comunismo. Chi lavora per i poveri è considerato un sovversivo e come tale candidato all’arresto, alla tortura e alla morte.

Con l’aiuto delle consorelle e di alcuni sacerdoti particolarmente interessati ai problemi sociali, Dorothy crea piccole comunità di base dove si prega, si sviluppa un grande senso di giustizia, si lavora per una crescente coscientizzazione dei diritti umani. Caldeggia l’idea che bisogna smettere di pagare assurdi affitti ai latifondisti. È sempre accanto ai più poveri e si impegna pure ad aiutare le donne di strada. Basti un commento: «Quando la suora incontra la prostituta, questa si sente donna».

Per tutti questi impegni, è odiata da coloro che non caldeggiano l’emancipazione di chi non ha voce. È presa di mira assieme a preti, religiosi e suore che subiscono pressioni da parte del regime militare: chiunque aiuta i poveri è considerato comunista. E comunista è giudicato pure papa Paolo VI, appena pubblica la sua Enciclica Populorum progressio.

Nel novembre 1987 Dorothy scrive: «La nostra situazione qui in Brasile peggiora ogni giorno: i ricchi moltiplicano i loro piani per sterminare i poveri, riducendoli alla fame. Ma Dio è buono con il suo popolo». Nel 1998 prende la decisione di condividere ancora più a fondo la situazione degli abitanti di Anapu. Costruisce una piccola casa in legno che le permette di raggiungere più in fretta le piccole comunità di base. Mentre il comune di Anapu la dichiara “persona non gradita” – e come tale da espellere dal Paese –, riceve la cittadinanza onoraria del Parà, che contemporaneamente la dichiara “Donna dell’anno”. Questa notorietà non fa altro che accrescere il numero dei suoi nemici.

Nel 2005, nel Parà, due proprietari terrieri dicono di essere disposti a pagare chi ucciderà Dorothy. La taglia è di 12.500 dollari. Clodoaldo e Raifran accettano, essendo bisognosi di denaro…

Mentre, sotto una pioggia scrosciante, Dorothy sta accorrendo in aiuto alla famiglia di un povero contadino, Raifran le spara. La suora cade con la faccia a terra. Riceve altri colpi di pistola. Colpi simbolici alla testa, al cuore e al ventre, per eliminare il pensare, il sentire e il generare.

La pioggia continua a cadere, lavando il sangue della prima martire del creato. Piangono i contadini nelle loro capanne, ma non osano raccogliere il suo corpo, temendo di essere pure loro ammazzati. Continua la pioggia a cadere sul corpo esanime di Dorothy. La faccia è seminata nel fango. E lì rimane per ore e ore. Lugubre e nobile emblema: «Se il chicco di frumento, caduto a terra, non marcisce, non può portare frutto». L’ha detto Cristo. E ha usato proprio il verbo “marcire”. Perché troppo facile e nobile è il morire. Per portare frutto bisogna marcire!

L’eredità spirituale

Studiando la vita di suor Dorothy si ha la convinzione che l’umanità si convertirà non tanto con le parole quanto piuttosto con il sangue dei martiri; con la testimonianza di chi, credendo e sperando, dilata i propri confini dell’amore, sforzandosi di farsi dono totale per i poveri perseguitati e per la conversione degli sfruttatori. Come ha fatto Cristo che non solo ha perdonato ai suoi crocifissori, ma li ha anche giustificati: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno».

È affascinante l’esistenza di suor Dorothy perché essa è tutta un inno alla vita, reso ancora più intenso da quell’assassinio che ha distrutto il suo corpo, ma ha esaltato un messaggio valido per l’Amazzonia e per l’intero pianeta. Si può sparare a un corpo, ma non ai sogni e agl’ideali di una persona «folle per amore», innamorata delle Beatitudini, amante del creato.

In vista del Sinodo 2019

Dorothy può essere scelta come icona del prossimo sinodo sull’Amazzonia. Ella ha richiamato l’attenzione mondiale sulle tematiche legate al rispetto della vita e della cultura degli indios e dei seringueiros, e alla salvaguardia del creato. Forti dell’eredità spirituale di suor Dorothy, ora i cristiani possono proclamare che questa umanità sta a cuore a Dio. Nel suo progetto eterno il creato è stato concepito come un luogo provvidenziale, in cui la regalità divina si manifesta nello sconfiggere il male, nel donare all’essere umano la capacità di avere cura della terra e il privilegio di continuarne, in un certo qual modo, la creazione.

La storia di Dorothy mette in evidenza il fatto che il progresso provoca – assieme a tante cose buone – anche vittime e sopraffazioni. Anche a scapito dei propri interessi personali, ci si deve mettere dalla parte degli ultimi, dei piccoli e dei poveri. Si deve difendere il diritto alla differenza, alla convivenza, all’interculturalità e alla coesistenza pacifica di ogni essere umano con gli altri per poter ripetere con il Salmista: «Benedici il Signore, anima mia» (Sal 103). Benedizione, lode al Creatore, fiducia nella Provvidenza, certezza che verrà il tempo in cui «Amore e verità s’incontreranno, giustizia e pace si baceranno» (Sal 85,11).

Altri approfondimenti su www.salvoldi.org