In cammino: cento chilometri sulla via Francigena in Val d’Aosta

Cento chilometri di Via Francigena percorrono tutta la Val d’Aosta: dal Col du GrandStBernard, a cavallo tra Italia e Svizzera, a Pont Saint Martin, al confine con il Piemonte. Da secoli, la Via è percorsa da migliaia di pellegrini da tutta Europa: cristiani, ma oggi anche turisti e curiosi. La sua estensione totale collega Canterbury, in Inghilterra, a Roma.

A inizio agosto, percorro la Via con Valeria e Giorgio: non sappiamo esattamente cosa aspettarci. Il nostro cammino inizia al Colle del Gran San Bernardo, 2473 m di quota, 3° di temperatura e vento a 45km/h. Lì, l’Hospice du Grand-Saint-Bernard, casa di accoglienza per i pellegrini, si staglia nella nebbia. Un luogo particolarissimo: creato attorno al 1050 da San Bernardo di Mentonearcidiacono di Aosta, venne pensato come luogo di protezione dei pellegrini, spesso vittime di brigantaggio. È lo stesso luogo dove, a metà 1600, vide la luce il primo “San Bernardo”, ottenuto all’incrocio di diverse specie di cani. Tra le mura dell’Hospice ci accoglie Raphael, uno dei cinque canonici che tiene viva la casa. È alto e magro, parla almeno quattro lingue, porta una croce al collo e ci offre ingenti quantità di thé caldo. «Qui abbiamo solo due stagioni» spiega con voce vivace «l’inverno di prima e l’inverno di dopo».

Per sei giorni percorriamo la valle in lungo e in largo. Ci fermiamo a dormire a Saint Oyen e ad Echevennoz, paesi con poche anime, una sola scelta di ristorante e supermercati aperti solo dalle 16 di pomeriggio. Respiriamo un’aria diversa, priva della frenesia cui siamo abituati.

I sentieri percorrono boschi e grandi prati, ma spesso affiancano l’autostrada che, come noi, segue la valle. «Avevamo accanto la viabilità veloce: l’autostrada permette di spostarsi in poco tempo dall’Italia, alla Svizzera, alla Francia. A questa si interseca periodicamente la Via, che invece attraversa i tesori del territorio: piccoli borghi storici, castelli. Quella del pellegrino è una viabilità totalmente diversa» osserva Valeria.

Sul cammino incontriamo pochi compagni: sappiamo di non essere in uno dei tratti più famosi della Via e immaginiamo che le incertezze dovute alla situazione sanitaria siano state significative. Hanno condizionato anche noi: dormiamo in b&b e case di accoglienza con stanze e bagni privati, senza condividere con altri i momenti quotidiani.

Sui sentieri ci mettiamo in fila; a volte chiacchieriamo, a volte cantiamo. Presto scopriamo che camminare abitua ad una lentezza che valorizza ogni particolare. I fiori sui balconi, i disegni sulle case, i lampioni a forma di viandante: tutto è interessante. «Desideravo camminare al ritmo dei miei passi e accordare a loro i miei pensieri. Non volevo andare troppo veloce, con l’illusione di evadere e andare lontano, né stare ferma, in una fissità che non porta da nessuna parte. La cosa bella della Via è che non si ritorna due volte nello stesso posto: si va sempre avanti».

Passiamo per Aosta e per Chatillon. Ci troviamo immersi tra alberi da frutto e vigneti: la prosperità si respira. Fatica e stanchezza crescono: parliamo meno, ascoltiamo di più. Il silenzio è il nostro miglior compagno di viaggio: ad ogni passo, gli orizzonti interiori crescono quanto quelli esteriori. «Ho apprezzato il fatto che fossimo “isolati”, nel senso che durante il cammino non avevamo distrazioni, eravamo solo noi, lì e allora. Abbiamo potuto ascoltare i nostri corpi, gli altri, l’ambiente, i pensieri» dice Giorgio. A Pont Saint Martin, dopo l’imponente castello di Bard, concludiamo il nostro cammino con un triplo gelato.

Portiamo a casa tanti timbri sulle nostre Carte del Pellegrino, uno zaino pieno di panni sporchi, gambe indolenzite. Ma soprattutto:

ora conosciamo la bellezza di percorrere insieme un cammino. Sappiamo, una volta di più, che per trovare stupore e pienezza non serve andare lontano.

A volte è sufficiente girare l’angolo, caricare sulle spalle i propri pesi e procedere con curiosità, un passo dopo l’altro.