Italia più povera

Sono, ormai, sempre più urgenti politiche del lavoro a sostegno dei giovani e politiche industriali per favorire la crescita delle aziende ed evitare la loro fuga all’estero: Luciano Gallino, professore emerito di sociologia presso l’Università di Torino, analizza i nuovi fenomeni migratori degli italiani verso altri Paesi in cerca di lavoro e di nuovi mercati. Ma ad aggravare la nostra situazione interna c’è pure la crisi della nostra classe dirigente politica ed economica: la speranza, argomenta Gallino senza tentennamenti, risiede nella sostituzione, pur con le dovute eccezioni, dell’intera classe dirigente del Paese.

Professore, un numero crescente di italiani, in particolare giovani, emigrano verso l’estero in cerca di lavoro: come legge questo fenomeno?

La situazione del lavoro e dell’occupazione in Italia è nota: abbiamo una disoccupazione ormai crescente da anni, abbiamo un numero elevato di lavoratori precari con contratti atipici che sono particolarmente punitivi per i giovani. Molti dei nostri giovani, inoltre, hanno una certa familiarità con l’estero: già dalle scuole superiori o a partire dall’università in poi hanno molti contatti con altre realtà fuori dall’Italia. E così si rendono conto che in altri Paesi ci sono più possibilità che da noi.

È  il segno di una fragilità del nostro sistema Paese?

È la conferma della fragilità del nostro sistema lavoro. Dietro ci sono i processi di deindustrializzazione, la perdita di interi settori industriali che, negli anni, non sono stati praticamente più sostituiti. C’è un’assenza totale di politiche industriali che, invece, altri Paesi portano avanti. E queste sono, ormai, situazioni che si collegano alla storia economica e industriale del nostro Paese degli ultimi vent’anni e più.

Ma siamo destinati a tornare un Paese di emigranti?

Non credo. Soprattutto se pensiamo ai volumi dell’emigrazione degli anni Venti verso gli Stati Uniti, o del dopoguerra verso la Francia, la Germania, il Belgio. Certamente non arriveremo a quei livelli.

Sono in crescita anche le aziende che si spostano all’estero

Sì, ma le imprese vanno all’estero perché il lavoro costa meno, perché i contributi sociali incidono di meno; in alcuni Paesi, poi, i sindacati, praticamente, non esistono.

Di cosa hanno bisogno i giovani oggi?

Ai giovani servono politiche del lavoro che, però, in questo momento non si vedono ancora. Del resto anche gli ultimi interventi del Governo non convincono: basta pensare alla recente proposta di 14 euro in più in busta paga, al giochino della riduzione del cuneo fiscale che sembra preludere a tagli della spesa sociale, della sanità, della previdenza. Sono pannicelli caldi rispetto al problema di quattro milioni di disoccupati e di oltre quattro milioni di precari.

Questo incide anche sui livelli di povertà sempre più elevati anche tra gli italiani?

Certamente. Quest’anno si supererà di parecchio il miliardo di ore di cassa integrazione: significa che un milione di persone devono fare mille ore l’anno di cassa integrazione. Ciò significa che queste persone vivono per due terzi dell’anno in questa situazione. Essere in cassa integrazione significa, di solito, avere un reddito di 850 euro: un milione di persone per 8-9 mesi l’anno percepiscono questo stipendio. Ma questa è la soglia di povertà.

E per risollevare aziende cosa servirebbe?

Nel nostro Paese servirebbe una politica industriale: ma, ormai, non sappiamo nemmeno più che cosa sia. E in questi anni l’assenza di una politica industriale ha avuto conseguenze davvero drammatiche sul nostro tessuto industriale.

È possibile risalire la china?

Il problema vero è che questa è la crisi di un’intera classe dirigente che non sa fare né industria, né politica: e queste due carenze si sentono in modo molto forte. La speranza risiede nella sostituzione integrale dell’intera classe dirigente politica ed economica del nostro Paese. Il nocciolo del problema è proprio questo. Pur con tutte le dovute eccezioni e ricordando che non si può mai fare di tutta l’erba un fascio, ma dobbiamo ricordare che noi abbiamo una classe dirigente complessiva che dovrebbe essere sostituita.