Attesa

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:  «Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo…» (vedi Vangelo di Luca 24, 37-44). Per leggere i testi liturgici di domenica 1 dicembre, prima di Avvento “A”, clicca qui.

VIGILATE

Ancora l’ultimo discorso di Gesù sulle “ultime cose”: domenica scorsa era la versione di Luca, oggi, con l’inizio del nuovo anno liturgico, quella di Matteo. Gesù, anche nel vangelo di Matteo, non vuole dire quando l’ultimo giorno arriverà. Vuole soltanto dire che esso arriverà inatteso come il diluvio. Ai tempi di Noè erano talmente occupati con le faccende di ogni giorno che non si accorsero della catastrofe che incombeva. Così sarà quando verrà il Figlio dell’uomo. L’avvenimento sarà totalmente inatteso. Due donne staranno facendo girare la mola per macinare il grano. Una sarà “presa”, presa dal Signore che torna, cioè sarà salvata, mentre l’altra, troppo assorbita dalle sue occupazioni, mancherà all’appuntamento. Matteo sottolinea, dunque, la totale noncuranza della generazione del diluvio e trae dai fatti di quella generazione un’esortazione per la sua generazione: vegliare. Proprio perché il giorno non è noto, la vigilanza deve essere continua.

Per accentuare la necessità della vigilanza, Gesù usa l’immagine del ladro. Negli scritti del Nuovo Testamento Gesù viene descritto così: «Se non sarai vigilante, io verrò come un ladro, senza che tu sappia l’ora della mia venuta» (Apocalisse 16, 15). Anche il Figlio dell’uomo verrà inatteso, come un ladro, nonostante i segni premonitori. Dunque, poiché l’istante preciso resta sconosciuto, la comunità cristiana non può impegnarsi a fare dei calcoli per riempire un vuoto che il Signore stesso non ha voluto riempire. L’unica cosa necessaria è restare vigilanti, perché non ci si deve chiudere in se stessi mentre il Signore può arrivare da un momento all’altro. Le ricchezze, le preoccupazioni della vita possono distrarci. Vigilare significa anzitutto essere capaci di liberarsi e da quelle ricchezze e da quelle preoccupazioni.

ASSUEFAZIONE E SPERANZA

Anche oggi l’attesa sembra talvolta morire. Per gli stessi motivi per i quali moriva ai tempi di Noè. Si mangia, si beve, si prende moglie, si prende marito… E’ in atto una assuefazione alle cose: non siamo noi a cambiare le cose, ma sono le cose che cambiano noi. E arriviamo perfino ad assuefarci al male che ci invade da tutte le parti e contro il quale sembra non esserci più nulla da fare. Non disponiamo di un giudizio risolutore e tutto si mischia: i buoni soffrono come i cattivi, chi fa la guerra come chi costruisce la pace, chi lavora onestamente come chi ruba. In un mondo siffatto il discepolo finisce per convincersi che non serve molto sperare.

Una possibile risposta ci viene suggerita da s. Agostino. Risposta interessante perché il grande santo vive mentre i barbari stanno invadendo il nord dell’Africa. Un mondo sta finendo: la grande potenza di Roma, la sua civiltà, la sua bellezza. È la catastrofe: non è tanto la fine di un mondo, ma sembra proprio la fine del mondo. In quel momento di straordinario smarrimento il santo scrive il “De civitate Dei”, “La città di Dio”, dove dice: «Se buoni o cattivi subiscono le medesime afflizioni, non è vero che manca ogni differenza fra loro solo perché non vi è differenza nelle loro sofferenze. Rimane la differenza dei sofferenti anche nella somiglianza delle sofferenze».

Bisogna dunque affermare fortemente che la differenza sta in noi, o meglio: nella fede che abbiamo e nella speranza che nasce dalla fede. Non è la stessa cosa aspettare sperando o aspettare disperando, vivere assuefatti e vivere in attesa di quello che ci aspetta. In mezzo alla paura di tutti, alla sofferenza di tutti, alla generale assuefazione, il mondo ha sempre più bisogno di gente capace di sperare. Quando tutti disperano della pace, il discepolo grida: «Una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione». Questa è la nostra “differenza”: l’unica differenza che conta davvero. Per noi e per tutti quelli che la vita ci fa incontrare.

IL TUO PARERE

Non vale la pena darsi da fare per essere onesti, per fare bene… Sei del parere che i cristiani sono sempre più rassegnati? Hai qualche esempio “diverso” da raccontare?