Fuori dagli schemi

La maggioranza dei giovani è lontana da forme d’impegno nel volontariato organizzato, ma ciò non significa che manchi nelle giovani generazioni la sensibilità verso modalità diverse d’impegno sociale: Elena Marta, docente di psicologia sociale e di comunità presso l’Università Cattolica di Milano, fra i curatori del Rapporto giovani dell’Istituto Toniolo, sottolinea i tanti modi attraverso i quali i giovani si avvicinano oggi al mondo del volontariato.

Dalla ricerca emerge che pochi giovani si impegnano nel volontariato. Perché?

«I dati, se consideriamo il volontariato e l’impegno politico organizzati, ci dicono che c’è un impegno piuttosto basso. Oggi i giovani accedono a forme di impegno che non è quello del volontariato organizzato, anzi sono abbastanza resistenti verso questa forma; preferiscono un volontariato più specifico e momentaneo. Si attivano molto su iniziative vicine ai loro ideali e delle quali vedono il senso».

Quindi, non corrisponde al vero l’immagine di giovani privi di interessi e ideali?

«I giovani mostrano di avere valori e di avere una propensione alla pro-socialità diversa da quella che noi immaginiamo. Poi, certo, siamo in presenza di una generazione dove il segno dell’individualismo è presente, ma c’è anche dell’altro. Dobbiamo interrogarci sulle altre forme di volontariato che non sono quelle organizzate. Ad esempio i giovani sono molto interessati ai temi civili e dell’ambiente. Non è vero che tutti i giovani sono narcisisti e autoreferenziali. Ci sono giovani che non afferiscono al volontariato organizzato, ma partecipano ad altre forme che sentono a loro più vicine. Certo, poi bisogna anche aiutare i giovani a riflettere su come accedere ad un volontariato organizzato che ha un suo senso e significato».

Perché sono di più le ragazze rispetto ai ragazzi che si impegnano nel volontariato?

«Di solito il volontariato al quale possono accedere i giovani sono forme di cura per lo più vicine alla sensibilità femminile. Il dato della politica, ad esempio, è l’opposto. Si tratta di dati abbastanza costanti in tutte le ricerche sul volontariato».

Dalla ricerca emerge che più si cresce e meno si fa volontariato.

«Dipende anche da come il volontariato incrocia le tappe della vita. L’investimento nel lavoro e il fatto che alcune tappe, come la formazione di una famiglia e la nascita dei figli, si siano spostate nel tempo determinano una riduzione dell’impegno nel volontariato. Per poi ripartire in età più matura quando questi compiti evolutivi sono un po’ meno pressanti».

Anche il titolo di studio incide: i laureati sembrano più impegnati nel volontariato.

«Bisogna vedere se sono più attenti o sono in un contesto che favorisce l’accesso a queste esperienze. Nel mondo del lavoro quante aziende promuovono il volontariato? Nel mondo universitario, invece, spesso questa attività viene sostenuta. Bisognerebbe valutare se è il titolo di studio che favorisce l’impegno nel volontariato o il contesto».

La ricerca conferma l’abissale distanza tra giovani e politica.

«Sì, ma viene confermata la distanza dal modo in cui è fatta oggi la politica e non dall’attenzione alla gestione del bene comune. Se si parla con i ragazzi ci si rende conto che non è vero che manca l’interesse verso questo tema; sicuramente il modo con cui la politica è stata incarnata in questi anni li vede molto distanti. E qui credo ci sia una responsabilità della generazione adulta che non è riuscita a trasmettere passione e fiducia nella politica».

La crisi economica ha inciso sui risultati della ricerca?

«Gli studi su questo tema hanno dato risultati contrastanti. Alcuni dicono che proprio per la crisi le persone tendono a ripiegarsi su di sé. Questo è confermato da alcune associazioni che vedono una riduzione dei volontari. Altri studi evidenziano tendenze diverse: ci sono associazioni che, avendo costruito una buona rete con i propri volontari, sono diventate i contenitori delle tante ansie derivanti dal non avere lavoro e sicurezze».

Come riavvicinare i giovani al volontariato?

«Occorre fare un lavoro di sensibilizzazione un po’ più capillare e vicino alle loro esigenze; anche le associazioni, forse, devono fare uno sforzo in più per avvicinare i giovani. Dall’altra parte occorre capire come le tante spinte pro-sociali che i ragazzi hanno possono essere agganciate. I giovani sono disponibili e sensibili al tema. Del resto ricordiamo che quando parliamo di indagine sul volontariato organizzato non si considera, ad esempio, quello di matrice oratoriano; è organizzato dalla parrocchia, ma non c’è un’associazione iscritta ad un registro. Il dato di fatto è che lo spazio per lavorare c’è, soprattutto a partire dall’adolescenza: con una buona connessione tra associazioni e scuola, con una sensibilizzazione alla pro-socialità che può portare, poi, all’impegno nel volontariato o, comunque, alla costruzione di un cittadino consapevole».