Pace

UNA PAROLA “MULTIUSO”

L’indimenticato don Tonino Bello, vescovo di Molfetta e, negli anni ottanta, figura profetica del movimento per la pace, scrisse una volta di un saggio orientale che avrebbe voluto chiedere a Dio Onnipotente un solo miracolo: ridare alle parole il senso originario. Sì, perché – ricordava don Tonino – oggi le parole sono diventate così “multiuso” che non puoi più giurare a occhi bendati sull’idea che esse sottendono. Anzi, è tutt’altro che rara la sorpresa di vedere accomunate accezioni diametralmente opposte sotto il mantello di un medesimo vocabolo. Guaio, del resto che è capitato soprattutto ai termini più nobili, quelli, cioè, che esprimono i sentimenti più radicati nel cuore umano come pace, amore, libertà. A dire il vero, terminava don Tonino, «per quel che riguarda la pace, pare che questa “sindrome dei significati stravolti” fosse presente anche nei tempi remoti, se è vero che perfino in un salmo della Bibbia troviamo denunce del genere: “essi dicono pace, ma nel loro cuore tramano la guerra”». Parlare di pace, quindi, significa fare i conti con le inevitabili ambiguità che il termine e la sua comprensione comportano. Questo è dovuto forse al fatto che veniamo da una lunga tradizione (culturale e teologica) che ha sempre favorito la parola “guerra” alla parola “pace”. La guerra appare come una parola forte, che richiama eventi storici e aspetti della cultura di appartenenza o delle culture di altri popoli. La pace, d’altro canto, risulta una parola debole, senza un adeguato quadro di riferimento antropologico, la collochiamo in una dimensione emozionale, oscillante tra lo slancio emotivo e il buon senso. Per questo, nel corso della storia, abbiamo avuto una “teologia della guerra” (giusta, ma della guerra), una “letteratura della guerra”, una “musica della guerra” ma quasi mai una teologia, una letteratura, una musica “della pace”.

NON BASTANO LE BANDIERE ALLE FINESTRE

Le ambiguità sopra accennate sono evidenti, in modo particolare, ogni qualvolta, soffiano “venti di guerra”. Ambiguità che diventano veri e propri paradossi: da un lato, in Occidente, la maggioranza della gente ha maturato una profonda contrarietà alla guerra, come mai era accaduto in altro periodo della storia, che si è tramutata in una serie di scelte visibili: dall’esibizione di bandiere di pace sui balconi e finestre alla massiccia partecipazione alle marce e alle manifestazioni; dall’altro lato, ritorna una politica che considera la guerra uno strumento normale per fare giustizia. Vi è oggi, tra la gente comune, l’espressione di un bisogno sempre più diffuso di soluzioni diverse, di diversi rapporti tra le persone, tra i popoli e gli stati. Il bisogno di un mondo diverso e, insieme, la speranza che sia possibile realizzarlo. Eppure, si ha come la sensazione che tutto questo resti, in molti casi, solo un desiderio che si traduce unicamente in slogans e parole d’ordine ma non diventa cultura. Insomma, non basta dire “no” alla guerra; occorre coniugare, in sentieri possibili e praticabili, i “si” alla pace. Misuriamo la mancanza di una compiuta cultura di pace capace di innervare, con credibilità e autorevolezza, il concreto vivere umano. Basta l’istinto di sopravvivenza, la voglia di tirarsi fuori dai conflitti, la paura della violenza in casa propria (non in quella degli altri), per mettersi al riparo sotto le bandiere della pace? Ed ancora: la pace si coniuga con quali valori? A quale prezzo? Come diventa itinerario quotidiano di cammino verso la nonviolenza? Come ritraduce, con competenza, l’alfabeto dell’economia, del diritto, della politica?

FRATERNITÀ. FONDAMENTO E VIA DELLA PACE

Penso a tutte queste cose mentre leggo il Messaggio che Papa Francesco ha scritto in vista della 47a  giornata mondiale della pace che si svolgerà il 1 gennaio prossimo. «Fraternità. Fondamento e via per la pace», è il tema scelto dal Papa. Un messaggio forte, con denunce anche aspre, nei confronti della politica. Sin dall’inizio del suo ministero di vescovo di Roma, Bergoglio ha sottolineato l’importanza di superare una «cultura dello scarto» e di promuovere la «cultura dell’incontro», per camminare verso la realizzazione di un mondo più giusto e pacifico. La fraternità è una dote che ogni uomo e donna reca con sé in quanto essere umano, figlio di uno stesso Padre. Davanti ai molteplici drammi che colpiscono la famiglia dei popoli – povertà, fame, sottosviluppo, conflitti, migrazioni, inquinamenti, disuguaglianza, ingiustizia, criminalità organizzata, fondamentalismi -, la fraternità è fondamento e via per la pace. La cultura del benessere, sostiene Papa Francesco, fa perdere il senso della responsabilità e della relazione fraterna. Gli altri, anziché nostri “simili”, appaiono antagonisti o nemici e sono spesso “cosificati”. Non è raro che i poveri e i bisognosi siano considerati un “fardello”, un impedimento allo sviluppo. Tutt’al più sono oggetto di aiuto assistenzialistico o compassionevole. Non sono visti cioè come fratelli, chiamati a condividere i doni del creato, i beni del progresso e della cultura, a partecipare alla stessa mensa della vita in pienezza, ad essere protagonisti dello sviluppo integrale ed inclusivo.

Terminata la lettura, restano le domande. Insieme a qualche dubbio. Sapranno i cristiani cogliere la valenza politica della pace, che, non dimentichiamolo, è il primo dono del Signore Risorto? E come coniugare la forza della profezia con la traduzione sapienziale dentro i cammini feriali? Domande ineludibili se non si vogliono lasciare vuoti i documenti e retoriche parole e preghiere.

IL TUO PARERE

Si parla molto di pace. Ma che cosa si fa per costruirla davvero? Esiste, secondo te, una retorica della pace?

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *