Famiglia e retorica

Ci sono temi cari alla predicazione e la famiglia, almeno per alcuni, risulta tra i preferiti. Con la famiglia si infarciscono le prediche, si riempiono le preghiere e le intenzioni, si lanciano strali contro il tempo presente. Però… si ha l’impressione che la famiglia sia vista più come problema che come risorsa, come realtà da “usare” più che come presenza da coltivare e custodire. Per cui, nella Chiesa, la famiglia sta sulla porta e, con fatica, riesce ad entrare. Insomma, il rischio è che vi sia tanta retorica ma poca sostanza. Più o meno come avviene nella realtà civile.

Alla famiglia nel tempo postmoderno sono attribuite molte virtù, ma essa è sostanzialmente rinserrata nell’ambito privato. La coppia e la famiglia (realtà non sovrapponibili tout court come del resto, storicamente, anche famiglia e matrimonio) vivono oggi un periodo di grande considerazione, quasi inversamente proporzionale al momento di grave crisi che esse attraversano. Franco Giulio Brambilla descrive la famiglia, opportunamente, come l’«ultimo serbatoio di resistenza al carattere funzionale della società moderna». Eppure, fa notare, essa ha perso la sua rilevanza sociale, nonostante che molti reclamino la sua importanza per la società. Resta confinata ai margini: da un lato, la coppia sente il momento istituzionale (ecclesiale e sociale, politico, talvolta persino educativo) come lontano, remoto, estraneo; dall’altro la stessa società delinea i compiti della coppia e della famiglia in prospettiva funzionale, di impegni, di incarichi e di servizi. La famiglia interessa per ciò che può fare, più che per ciò che essa è.

DI QUALE FAMIGLIA PARLIAMO?

La domanda non è strana. Perché è venuto il tempo, piaccia o no, di riconoscere, che più che parlare di famiglia servirebbe parlare di “famiglie”, nel senso che esistono tipologie molto diverse. Attorno a noi sono evidenti una pluralità di modelli ed esiste anche la difficoltà di condurre questi diversi modelli ad unità. Pluralità, del resto, che è sempre esistita. Nel corso della storia infatti si sono dati modelli familiari diversi. Rendersene conto è già un fatto importante.

Oggi, per svariate ragioni, si assiste ad un indebolimento dell’istituto familiare. “Da piramide a cilindro”, con questa immagine Chiara Saraceno definisce il cambiamento avvenuto negli ultimi anni. Una famiglia, sempre di più, “stretta” e “lunga”. Aumenta cioè la longevità, ma diminuiscono i figli. Ciò vuol dire che abbiamo più generazioni in uno stesso nucleo, ma meno bambini. Questo cambiamento demografico porta con sé un cambiamento di relazioni e di bisogni. Le statistiche dicono che ci sono meno figli, più mamme che lavorano, più maschi che lasciano la casa d’origine solo quando si sposano. Raccontano di famiglie che fanno sempre più fatica a conciliare tempi di lavoro e tempi di cura, tempi pubblici e privati. Testimoniano che il momento attuale, dal punto di vista culturale e socioeconomico, rende il “mettere su famiglia” una scelta molto difficile e in qualche modo controcorrente. In questa cultura postmoderna che nega l’idea stessa di perennità, che è tutta incentrata sull’idea del cambiamento e della mutazione, lo scegliersi con la prospettiva di stare insieme per la vita è una sfida. Aumenta, dunque, la complessità: ci sono più genitori per gli stessi bambini, c’è più pendolarismo, si appartiene a più famiglie, si allarga il numero di relazioni, ma anche quello delle case in cui si abita, c’è una nuova organizzazione della vita quotidiana. Sono tutti “compiti evolutivi”, come dicono gli esperti, che pesano grandemente sui più piccoli. Fare i conti con questi cambiamenti è un passo necessario e fondamentale.

 MENO PREDICHE, PIÙ POLITICA

Il riflesso delle politiche demografiche attuate dal fascismo ha frenato nel tempo le misure legislative, fiscali, sociali a favore delle famiglie, e in special modo delle donne che lavorano e dei nuclei più numerosi. Un deficit che ha prodotto diseguaglianza sostanziale, dal momento che il carico familiare è diventato causa di povertà in misura assai maggiore che nel resto dell′Europa. E ora paghiamo anche con gli interessi perché l`Italia – paese che ancora si auto comprende come cattolico ed è stato governato per decenni da cattolici – è al tempo stesso la nazione con la più bassa natalità e con la più alta inoccupazione femminile. Se non bastasse il buon senso, sono proprio i dati reali a smentire clamorosamente i pregiudizi. Le famiglie sono oggi più forti dove è maggiore l′occupazione delle donne e dove migliori sono gli asili-nido, i servizi per i non autosufficienti e le politiche di conciliazione tra i tempi di lavoro e quelli di cura. Le famiglie sono più forti – e i giovani più incoraggiati a costituirle – dove il fisco tiene in maggiore considerazione il numero dei componenti della famiglia anagrafica. In Francia il sostegno economico alle famiglie con bambini tra zero e tre anni è tra i più alti dell′Unione. E sempre in Francia funziona un quoziente familiare corretto (nel senso della progressività fiscale) che costituisce una significativa integrazione al reddito per i nuclei numerosi. Il risultato è che si formano più famiglie, che le donne generano più figli e che l′occupazione femminile è ben maggiore che in Italia.

Insomma, non bastano le buone intenzioni per sostenere idee. Non basta limitarsi a proclamare valori come se magicamente si potessero affermare. Occorre piuttosto sostanziarli, sotto il segno della competenza e della laicità, di buone prassi, anche fiscali. Meno prediche, più politica. I cattolici che stanno dentro la società plurale dovrebbero ricordarselo più spesso.

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